Dagli scaffali della Difficile ho scelto questo romanzo di Exòrma Edizioni per raccontare di radici. L’unica notte che abbiamo, di Paolo Miorandi, è un viaggio nel tempo che parte da una donna anziana alla finestra che cerca la sua storia e con lei la sua voce.
La stessa dedica che troviamo in apertura, A chi mi ha affidato questa storia. Che la possa ritrovare e dimenticare. , è in grado di portare il lettore a porsi tante domande. Il romanzo corale è un tripudio di voci e storie che vivono come rette parallele che riescono però ad attraversare uno stesso punto.
L’unica notte che abbiamo: solitudine di numeri primi
Ogni personaggio che incontriamo è figlio di un ramo di questa storia e di lui esiste solo il suo riflesso e quello che gli altri hanno trattenuto nei ricordi, così Ernesto ci sembra fastidioso, lontano da tutto e a tratti persino troppo vicino a noi; Gioacchino è forse quello che appare più tranquillo, per qualcuno sarà una vita posticcia la sua, una mente che nasconde idee e ideali, che asseconda la strada.
Sono soli questi numeri primi, incapaci di restare senza radici ma anche infastiditi dalla loro ricerca. Storie di vita che avanza ma che si cerca nel passato, nel tentativo di superarlo senza riuscirci.
L’unica notte che abbiamo: l’unicità dei momenti
Ci sono notti in cui ci si sente indifesi, forse è il peso del cielo che grava sulla testa, forse è il disfarsi del tempo;
I personaggi sembrano vivere come in un tempo fermo, schiacciati tra ciò che sarebbe dovuto essere e ciò che è stato. C’è solitudine, rabbia, tanta frustrazione per ritrovarsi con l’anima forata da vite precedenti. Un gioco a chi soffre di più che è in grado di riequilibrare tutte le belle storie che finiscono bene: non tutte le famiglie si salvano dai danni a lungo termine e permanenti. Voci perse che vanno ascoltate, rimesse insieme e liberate di nuovo altrove.
Radici
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