L’antropologia in tre libri

L’antropologia è spesso associata a strambe teorie e manuali ricchi di fotografie di indigeni. L’antropologia è forse la materia più utile per gli scrittori: con l’antropologia impariamo a raccontare e a leggere gli uomini. Tre autori, tre libri, un’analisi dell’uomo.

Doris Lessing – Racconti africani

Noi usavamo definirli “buoni” o “cattivi” a seconda di come svolgevano le loro mansioni: erano pigri o solerti, obbedienti o irrispettosi? E i nostri giudizi erano più o meno bonari a seconda del nostro umore. “Cosa puoi pretendere da questi selvaggi?”, dicevamo quando eravamo ben disposti. Ma se eravamo irritati il commento era: “Maledetti negri! Come staremmo meglio senza di loro!”

La Lessing non è antropologa, eppure è stata in grado di apprendere nella sua esperienza da adolescente quello che apprenderebbe, forse, un antropologo.

La sua adolescenza l’ha trascorsa nella vecchia Rhodesia dove si respirava aria di colonialismo. Bianchi che all’improvviso diventano padroni dei neri. Quando ancora le teorie di Franz Boas non avevano varcato i confini dell’Artico, probabilmente. Ne Racconti africani la Lessing prova a raccontare con naturalezza quello che da bambina era abituata a vivere.

Nel primo racconto, il più importante, si legge già come quel velo di ipocrisia tipico della cultura occidentale cade dagli occhi di una bambina. L’antropologia è qui, davanti all’osservazione partecipata del colonialismo non condiviso.

Davide Reviati – Sputa tre volte

Oh certo. A parte la Risiera di San Sabba a Triste, dove bruciarono nei forni dalle tre alle quattromila persone, per il resto i lager italiani non erano paragonabili a quelli dell’efficienza nazista”

Sputa tre volte è una graphic novel di 564 pagine. Reviati è in grado di distruggere la tipica provincia italiana mostrando, attraverso disegni dai tratti bruschi e violenti, la violenza del pregiudizio.

Si parla di zingari, di nomadi slavi o di rom, tanto va bene qualsiasi nome. Al confine della periferia vive una famiglia di nomadi. Ambedue le fazioni, alla stregua dei Montecchi e dei Capuleti, tengono lontani i propri figli, non si mischiano mai nelle attività.

L’antropologia dov’è? È nei gesti, nei rituali, nelle parole che i ragazzi, via via, imparano per comunicare. Un tentativo di dire io esisto perché esisti tu. E anche qui si strappa il velo, si lacera lentamente, viene ricucito e lacerato ancora. Mettendo in discussione anche le storie tramandate e la memoria collettiva imposta e imparata.

Matteo Meschiari – Artico Nero

Te ne stai lì a leggere questo libro. Mi fa piacere. L’ho scritto per me, per fare i conti con un’estate dolorosa, e l’ho scritto per te. Bene, allora. Eccoci qui. Parliamo di colonialismo, tu e io, da casa, dai nostri divani.

Meschiari è l’unico fra i tre ad essere un antropologo. Per questo motivo, ne Artico Nero, riesce ad entrare con forza nella bolla di sapone del lettore. Sette episodi per raccontare sette popoli dell’estremo nord dove sembra non essere mai arrivata la colonizzazione.

Meschiari schiaffeggia con irruenza il lettore, lo porta con forza in quelle realtà. Si chiede perché siano aumentati i suicidi in Groenlandia dopo che sono arrivati i danesi. Perché l’uomo è stato reso schiavo di una terra nella quale viveva già, in perfetto equilibrio con l’ecosistema.

Artico Nero mostra, racconta, spiega e domanda: dov’è la storia di ogni singolo individuo che l’uomo ha dovuto aggiustare perché diverso?

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