Di Versi in Versi: “Polveri nell’ombra” di Antonio Spagnuolo

Per “Di Versi in Versi”, vi proponiamo la lettura di “Polveri nell'ombra”, di Antonio Spagnuolo, edito da Oédipus.

Per “Di Versi in Versi”, vi proponiamo la lettura di “Polveri nell’ombra”, di Antonio Spagnuolo, edito da Oédipus.

Il “grumo di sogni” di Spagnuolo

Sono un poeta / un grido unanime / Sono un grumo di sogni”. Questi versi, di Giuseppe Ungaretti, tornano alla mente quando si legge “Polveri nell’ombra” di Antonio Spagnuolo. La scelta del titolo, che racchiude la poetica dell’autore, ci indica la via: polveri, materia che diventa segno riconoscibile nella sostanza buia che l’ombra richiama. Esattamente come fa il ricordo che diventa lama, e poi cicatrice, a testimonianza di essere stato, di essere ancora nella voce che “urla” per non dimenticare:

«Anche l’incanto perdura nel tratto breve

di un bagliore che non traccia incandescente,

e tu trabocchi di nuovo nel nettare

frammentato e stanco».

I testi di Spagnuolo sono un susseguirsi di suggestioni e ricordi, anche dei poeti che furono, che hanno determinato il percorso della nostra formazione. E così, nella lettura, si riesce – a tratti – a procedere per parallelismi.

«Finalmente raggiungere i silenzi / in questo esilio di me in mezzo agli uomini», scrive Spagnuolo e il rimando è alle lettere di Leopardi, che da Roma, scriveva: “il mondo non mi par fatto per me. Ho trovato il diavolo più brutto assai di quello che si dipinge”. E di fatti nella sezione “Nuovo registro”, ricorre la figura mitologico demoniaca di Belfagor, che finisce con l’identificarsi con l’io lirico.

L’umanità poetica che si aggrappa al ricordo

Spagnuolo ci porta dentro, nelle stanze interiori di un’umanità che si aggrappa al ricordo, alla «illusione della resurrezione e del perdono al mondo / prima che ogni tramonto chiuda le pupille». Il ricordo è tema fondante: «Ora intreccio stupori inutilmente / nella viscida bolla delle assenze». L’autore sa procedere anche per semantiche di opposizione: «Fuori è il mio nome, snodato, / scomponibile, che accenna troppo forte / all’angoscia», dove il concetto di fuori viene utilizzato per esplorare – al contrario – l’interiorità di un sentimento come l’angoscia. 

Silenzio (quello dei poeti, che, come ci ricordano i versi della Merini – “fanno ben più rumore / di una dorata cupola di stelle”); attese; mancanze; solitudine. Parole (o concetti che a esse rimandano) che ricorrono, come fosse il santo Rosario che chiede pietà, grazia già ricevuta e che si rivorrebbe.

Spagnuolo parla di mutismo, quello che separa il tutto dal tutto: «per quell’irripetibile istante che tu irrisolta / hai inciso nel marmo della tua sepoltura». E tutto sembra farsi limpido, ordinato – se vogliamo – nella sezione “Svestire le memorie”:

«Non credo più nel toccare le cose con le mani

alla sciarada che ogni zero incunea,

[…]

Sulle mie ossa in bilico

la mia rassegnazione non ha più posto».

Il poeta sa commuoverci, ricorrendo a immagini dirette: «Ormai l’attesa è l’inquieta parola dell’addio». E noi piace immaginare che la nostra attesa sia quella del prossimo verso, che anziché segnare l’abbandono, definisce il segno indelebile ed eterno della poesia.

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