Di Versi in Versi: “Nutrica” di Daìta Martinez

Per “Di Versi in Versi”, vi proponiamo la lettura di "Nutrica" di Daìta Martinez, edito da LietoColle.

Per “Di Versi in Versi”, vi proponiamo la lettura di “Nutrica” di Daìta Martinez, edito da LietoColle.

Nutrica e la rivoluzione dei versi

La sostanza poetica si fa concetto stilistico in Nutrica, di Daìta Martinez. Basta soffermare l’occhio, l’interesse e la personale interpretazione a pagina 61, dove troviamo questi versi:

«piazza della

rivoluzione

hai freddo?».

E allora è dalla rivoluzione che sembra – a chi scrive – necessario partire nel sentire i versi della Martinez. La rivoluzione scomparsa. Che trova le piazze spoglie dell’umanità che invece dovrebbe farsi materia di cambiamento. La rivoluzione stilistica? Anche, se si considera la scelta di una punteggiatura quasi “nevrotica” (nella sua accezione positiva: ovvero di rottura), con l’uso costante e ricorrente del punto e virgola, posizionato in una grafica che non segue il nero delle parole, ma il bianco della pagina:

Appoggio

al viso di

finitezza

;

e sguardo

all’ascesa

la schiena

;

interno d’

aria nuda

chinando

Rivoluzionaria o sperimentale, ognuno la definisca come meglio crede. Quel che conta è arrivare alla sostanza, alla scelta dell’autore, che fa della sua poesia, la nostra lettura, il nostro sguardo – allargato – sulla realtà. O meglio, “uno sguardo vergine sulla realtà”, per dirlo alla maniera di Edoardo Sanguineti.

Nella terra della poesia, con lo sguardo pronto ad accogliere

Che sia un verso, una tecnica, o una prosa breve o poetica, sembra di scorgere nel lavoro dell’autrice un intento linguistico preciso: passare dalla cruna di un ago per cucire tessuti di emotività, talvolta in brandelli, talvolta sedimentati nel posto sbagliato: «esistevo troppo piccola o troppo grande per il fianco della sottana che ripetevano a fiori?».

Mentre leggiamo raccogliamo l’invito a «non smettere la parola», a «non tacere l’appena», che è proprio sull’accenno che ha forma e sostanza l’immagine poetica per antonomasia, che parte da un impercettibile, per diventare poliedrico:

«potevi dirmelo che la mano non arrivava al gesto del fiammifero ed è nostra colpa la fioritura mancata dove il tavolo ci stringeva e stringeva l’ombelico quasi fosse un attimo il bicchiere del mare».

o polifonico:

«una parola basterebbe una parola rotta anche solo quella una parola da svitare e vomitare dall’inizio della pentola a bollire ai capelli raccolti sulla guancia a pezzetti di quegli anni che proprio non mi riesce imbastire su questa carezza soffiata che non volume la pioggia e le bancarelle del mercato e quella terrazza che ritorna e che non voglio tornare una parola a smontare la gabbia di carne e umori e i panni stesi che non s’asciugano mai […]».

Daìta Martinez

Ha più volte ragione la poetessa Franca Alaimo, quando nella prefazione definisce la poesia di Daìta Martinez una poesia di sottrazione, che ci accompagna all’interno della sonorità e architettura dei versi. Sottrae ma non elimina. Apre varchi. Anche sul bianco della pagina troviamo, possiamo scavare nella terra della poesia, mai estranea agli occhi di un lettore attento, ma sopratutto aperto, pronto ad accogliere.

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