Di Versi in Versi: “Le scarpe del flâneur” di Jonathan Rizzo

Per “Di Versi in Versi”, vi proponiamo la lettura de “Le scarpe del flâneur”, di Jonathan Rizzo, edito da Ensemble.

Per “Di Versi in Versi”, vi proponiamo la lettura de “Le scarpe del flâneur”, di Jonathan Rizzo, edito da Ensemble.

Camminare e scrivere, il paesaggio umano di Jonathan Rizzo

Il primo invito è aprire a pagina 39, per concentrarsi sul secondo verso: «Camminare e scrivere non chiedono pedaggio», leggiamo. È questo che il lettore dovrebbe interiorizzare per comprendere il lavoro fatto da Jonathan Rizzo con questo suo nuovo lavoro editoriale “Le scarpe del flâneur”, edito da Ensemble. Ma prima di iniziare la lettura vera e propria, e siamo al secondo invito pre-lettura, sarebbe bene andare a cercare la definizione di “flâneur”, termine francese – si legge alla prima ricerca – che indica il gentiluomo che vaga oziosamente per le vie cittadine, provando emozioni nell’osservare il paesaggio; termine reso celebre dal poeta Charles Baudelaire, a cui peraltro Rizzo dedica l’intera pubblicazione, insieme a Serge Gainsbourg «perché il secondo è riuscito nella truffa che provò il primo e in cui annego io che sono l’ultimo di quelli come noi ancora in piedi». Ma proviamo a concentrarci sulle scarpe. L’epicentro non è il gentiluomo – che pure è – ma il suo cammino e – ci permettiamo di aggiungere noi lettori – la fatica di osservare l’umanità che l’ha animato.

Perché con Rizzo si intraprende un vero e proprio cammino, dove mai ci si guarda negli occhi, piuttosto nella stessa direzione. E allora, iniziamolo, questo cammino, tra la polizia in bicicletta, case cartone, il barbone sfatto a vino rosso e i morti che siamo noi. Parte immediata questa pubblicazione poetica di Rizzo, con un testo che lascia presagire, che si dichiara. Mentre nel lettore la curiosità aumenta e ci accorgiamo «che bellissima novità è stasera vivere», ci dice il poeta mentre ci porta nella direzione di sguardo dove si trova

«Un vecchio piscia in un angolo

di solitudine

aggrappato

a un cartello ammuffito

che racconta una storia

di lavori in corso». Lì dove «la notte non muore, / almeno lei», nonostante lo «sgocciolare inesorabile / del tempo».

Ed ecco che arriviamo alla pagina 39 che avevamo aperto in anticipo sul suo tempo. Qui diventa limpido «Il cielo di Parigi», «gratuito / per chi lo sappia comprendere». Tra i più riusciti componimenti questo, titolato “Centodieci centesimi”, che parla di una malinconia che non si arrende a se stessa, de

«La natura tollera

il nostro abbonamento scaduto

al palcoscenico dell’aver vissuto».

Una poesia “di strada”, oltre il perbenismo e mai stereotipata

Una poesia di strada, su strada, di umanità, quella di cui si fa portavoce il poeta. Sembra davvero di vederlo «l’uomo che beve forte / per ricordare qualcosa / che altri hanno già dimenticato», lo sentiamo anche noi questo amare che «è come chiedere l’elemosina davanti la chiesa».

Jonathan Rizzo

Un pregio tra tutti è la capacità di Rizzo di stravolgere anche gli schemi del perbenismo, del moralismo, senza mai scadere nel cliché del contro a tutti i costi, senza mai trascendere nell’offesa, anche quando “Pisciando sulla tomba di Henri Matisse” (titolo delle poesia a pagina 83), rivolgendosi al pittore scrive:

«la belva sono io.

Vilipendio a genio immortale.

Tiro fuori l’arnese idraulico immorale.

Pennello che dir si voglia

e dipingo la pietra porosa d’oro

rubando ai fiori i loro colori, l’altero decoro.

La mia vendetta è la mia rabbia terribile.

Tu ne sei innocente vittima,

ma i carnefici sono loro».

Mancano ancora poche pagine alla fine. Ma si può sempre ricominciare. Provare a immaginare un percorso personale e modificato, senza mai dimenticarsi – e i testi di Rizzo che lo ricorderanno ad ogni passo – di guardare, anzi osservare, scevri dalla distrazione a cui la società ci insegna di ricorrere per non dover sentire il peso di essere un umano.

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