Per “Di Versi in Versi”, vi proponiamo la lettura de “Il Condominio S.I.M.” di Alessandro Canzian, edito da Stampa2009.
Una telecamera puntata sul Condominio
Consideriamo l’arte cinematografica come l’emblema dell’intreccio dei linguaggi. C’è la scrittura, intesa come dispiegamento di una trama, ci sono i dialoghi (arte a se stante, per quanto sotto branca della sceneggiatura), poi c’è il linguaggio visivo, fatto di inquadrature, che definiscono la cifra – panoramica o intimistica – dell’intero lavoro. È stato più volte definito, il cinema, come arte “completa”.
Proviamo – e chi scrive se l’è immaginato – a far concorrere “Condominio S.I.M.”, di Alessandro Canzian, edito da Stampa 2009, a un concorso cinematografico: si aggiudicherebbe il primo gradino del podio in più di una sezione. Senza dubbio migliore regia, per come i personaggi sono stati guidati a definire l’umanità quotidiana (e spesso drammatica) del Condominio; miglior montaggio, per il ritmo che Canzian ha deciso di dare al susseguirsi delle storie e dei gesti; e miglior sceneggiatura: capace di incanalarsi tanto nel linguaggio poetico quanto in quello della prosa breve, o prosa poetica (come meglio si preferisce definirla, ammesso che una definizione sia necessaria).
Dai gesti quotidiani agli universi interiori dei “condomini”
La capacità dell’autore è di fare di una minuzia («le scarpe accanto al letto, / le ragnatele nell’armadio, / le calze che si toglie / e lancia») un universo emotivo, di puntare una telecamera su interiorità che si comprendono con un gesto («E tiene una mano fra le gambe / a respirare l’alito di Dio / ogni volta che si addormenta»).
E sa farlo svincolandosi dalla prima persona (sempre di maggiore impatto, capace per antonomasia di posizionarci nel terreno dell’immedesimazione), scegliendo una voce fuori campo in terza persona, proprio come le soggettive di una telecamera puntata su soggetti e oggetti.
Carlo è il ragazzo della porta
accanto. Vive solo. Grida
a volte di notte perché
tutto ciò che è trattenuto
alla fine esplode, butta
le immondizie la sera, come
la vita, una volta la settimana.
Anche il tempo è fermo, continuamente presente, anche se si “narra” di Silvio, «cinque anni in Condominio prima di cadere / dalla scala antincendio», inconsapevole – e allora sarà l’arte a stimolare la riflessione – «che ogni passo è una caduta».
La maestria dei narratori, con i tempi e le pause della poesia
Canzian ci racconta una storia – e in questo senso sembra calzante la scelta di citare il Condominio sempre con la maiuscola –, anche se diversi sono i protagonisti. Storie, esistenze, accomunate da umanità similari, fatte di solitudine («è inutile attendere l’attesa»), errori passati e rispolverati da una eco di presenza:
Alberto ha due figli
ma solo uno va a trovarlo.
Perché passare dal suo uscio
significa perdonare i suoi errori
e comprendere che un uomo
può chiedere scusa
senza mai riuscire a farlo.
Non manca la disperazione, e le violenze interiori («Anna pensa l’uomo come una frattura»). Canzian racconta l’uomo, lo fa con la maestria dei narratori, ma con i tempi, le pause, della poesia.
Alberto non parla mai
di Monica, la moglie. Due
figli e venticinque stagioni
a dormire assieme, gli stessi
odori, gli stessi vestiti
nella stessa lavatrice.
Poi un cancro, a pulire tutto.
E mentre “osserviamo” Aldo andarsene salutando chi si volta dall’altra parte, noi chiudiamo gli occhi sul Condominio, con le domande che solo l’arte sa formulare e le riflessioni di cui ognuno è capace.
Arrivati alla quarta di copertina, il Condominio di Canzian ci lascia un po’ orfani, come tutta l’arte letteraria di valore.