Di Versi in Versi: “Archivio del bianco” di Stefania Onidi

Per “Di Versi in Versi” vi proponiamo la lettura di “Archivio del bianco” di Stefania Onidi, edito da Terra d'Ulivi Edizioni.

Per “Di Versi in Versi” vi proponiamo la lettura di “Archivio del bianco” di Stefania Onidi, edito da Terra d’Ulivi Edizioni.

La poesia che nasce dalla frattura

Se io mi sento fisicamente come se una parte della mia testa mi venga asportata, io so che questa è poesia”, scriveva Emily Dickinson. Ed è così che ci si sente lungo le parole, i gesti, le stanze interiori o esteriori che osserviamo nel leggere “Archivio del bianco”, di Stefania Onidi, edito da Terra d’Ulivi Edizioni.

L’autrice stessa “si dichiara” come rotta, divisa, in apertura della sua raccolta:

«Questa finestra è un silenzio

in cornice. Vi precipito

con l’ala superstite di Nike.

Mi spezzo».

Ed è un concetto che ricorre quello della rottura interiore, come da “protocollo” di tanti grandi autori della poesia, vicini o aggrappati a concetti che portano avanti come una ricorrenza che ha il compito di fare memoria:

«Ho sentito la tua lingua muoversi

tra i meati della mia carne

e il rosso laccato della mia solitudine.

Osservami venire al mondo o andare in pezzi.

Ti piaccio con le mascelle spalancata e gli occhi

chiusi».

Parole e immagini che ricorrono, la linearità della raccolta

Stefania Onidi

Non a caso Sergio Pasquandrea, nel suo commento al testo della Onidi, parla di linea narrativa, intesa come “una serie di corrispondenze, riprese, cadenze, ritornelli, rime interne, una direttrice di sviluppo che renda il volume non una semplice sequenza di testi, ma un insieme coerente”. In questo la poetessa è maestra, con parole e concetti che ritornano, creando anche sentimenti di affezione nel lettore: rottura, silenzi, coloricado mi sbuccio / il mio interno è rosso»; «Percuote il mio rosso / un vicinissimo cielo»). Le parole sono abisso, sprofondano nelle interiorità in cui ci riconosciamo. Eppure la Onidi ha mani poetiche leggere, di una delicatezza sinonimo di fragilità che non si nega al lettore:

«Cinque le dita dell’inverno

premono sul tempo vergine

domeranno il sangue

arrossiranno i fianchi all’alba».

La poesia della Onidi possiamo toccarla, perché ha saputo posarsi sui nostri occhi e sensi:

«Da piccoli quando si ama la neve non si pensa al

freddo

si educa a questo sguardo puro

sul niente».

Eppure niente è niente per davvero. Nessuna parola è disordine, o casualità. Tutto è immagine che scorre. Questa sembra dirci il bianco della Onidi, che tanto è, tranne che assenza di qualcosa, al contrario ne è definizione.

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