“Quante cose ci ha rubato la guerra” di Manuela Barban: un immenso desiderio di libertà

Vivere durante un conflitto mondiale significa accantonare sogni e desideri a causa della guerra. Lasciare famiglie e amici. Abbandonare lavori, case, progetti. Ritrovarsi a condividere spazio e tempo con altre persone, in attesa di ricongiungimenti che, forse, non avverranno mai. E in tutto questo permettere, o non permettere alla guerra e agli eventi, di distruggere i cuori delle persone, inaridendoli fino a seccarli del tutto.

Quante cose ci ruba la guerra. E l’uso del presente non è casuale ma d’obbligo, considerati i vari conflitti che ancora sporcano di dolore e di morte il mondo.

Quante cose ha rubato la guerra a Silvana e Goffredo, i protagonisti del romanzo di Manuela Barban, costretti a dividersi all’indomani dell’armistizio: lui resta a Trieste a lavorare e lei, insieme alla loro bambina, raggiunge la famiglia del marito in Liguria.

Giorni, settimane, mesi. La lontananza è difficile da sopportare, soprattutto se nascono delle incomprensioni. Silvana è una donna moderna, indipendente. Cerca e vuole la sua libertà. La suocera e le cognate sono soffocanti e invadenti, non la comprendono e la criticano. Goffredo è attaccato alla sua famiglia d’origine, è un uomo di quei tempi dalle vedute un po’ ristrette, la moglie è una sua proprietà. La gelosia è un tarlo silenzioso che grida tutta la sua rabbia quando la donna si trasferisce a vivere con un’amica.

Ma quando sarà terminato l’amore che ancora ci unisce, cosa sarà di noi?

La guerra è un male nero, ruba la pace e l’armonia, graffia i sentimenti, allontana fisicamente e mentalmente. Cambia le persone, abbruttisce e inaridisce gli animi. Eppure, anche nel dolore più grande, nella tragedia più atroce, si possono trovare amore e speranza, se si permette a quel piccolo spiraglio, di far entrare la forza della volontà di lottare per se stessi e per chi ci è accanto.

Goffredo, nonostante la solitudine e l’angoscia per la lontananza dalla moglie e dalla figlia, troverà un modo per non lasciarsi vincere dai fatti e non essere solo una vittima della guerra. Darà il suo importante contributo nella Resistenza, sentendosi vivo e giocando un ruolo decisivo in pericolose operazioni atte a salvare altre persone.

… per la prima volta dopo anni aveva la sensazione di esserci, di fare qualcosa di grande, di non subire più la realtà ma di governarla.

Un romanzo familiare, due visioni dello stesso periodo storico dove la lotta per la libertà diventa, da individuale, universale. Un uomo e una donna separati da un conflitto che non riesce, tuttavia, a dividerli del tutto. Un occhio attento su quei tempi e sulle abitudini, sui modi di vivere e di pensare, sulle differenze nell’affrontare la vita quotidiana. La non facile situazione vissuta dalle donne le quali passavano, quasi sempre, da un controllo esercitato dalla figura paterna a un sottostare al proprio marito. Silvana è diversa, è sveglia, audace, non vuole rinunciare alla propria autonomia. Si dà da fare, lavora, cresce la propria figlia e non ha paura del giudizio della gente.

È un libro molto scorrevole, con una forte attenzione più ai fatti storici che alle vicende vere e proprie dei protagonisti, le quali appaiono un po’ ripetitive. Ma forse l’autrice intendeva rendere la vera protagonista del suo romanzo proprio lei, la guerra con la sua tragicità, il dolore da essa provocato, mettendo in evidenza l’incomprensibile desiderio di morte che alberga nelle squallide menti dei piccoli uomini che amano il potere e l’orrore della crudeltà.

Manuela Barban è nata a Savona e vive a Torino. Lavora nel team ESG di una multinazionale ed è tra i fondatori della rivista letteraria “Crack”. Questo è il suo primo romanzo, tratto dalla vera storia dei suoi nonni, entrambi mossi, seppure in modi diversi, da un insostenibile desiderio di libertà.

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“Quante cose ci ha rubato la guerra” di Manuela Barban, Las Vegas Edizioni  Vivere leggendo

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