Ammetto che non è stato immediato entrare in sintonia con questo libro. Ho riletto più volte la prima pagina perché non capivo e non percepivo la voce dell’autrice. Stonavo ad ogni riga, rileggevo, ma niente. Cosa sto leggendo? Liberata la mente ho iniziato pian piano a trovare il ritmo, la musicalità, e ho sentito il suono delle pagine. Dovevo accordare la mia voce con quel flusso di parole, ascoltare e accendere la luce del sentire per immagini.
“Arrivammo con le pance piene. Doloranti. Il ventre nero, carico d’acqua scura e fredda, e di lampi e tuoni. Venivamo dal mare e da altre montagne, e chissà da quali altri luoghi, e chissà che cosa avevamo visto. Raschiavamo la roccia sulle cime, come sale, perché non spuntasse neanche la malerba. Sceglievamo il colore delle pendici e dei campi, e la brillantezza dei fiumi e degli occhi che guardano in alto.“
Un’opera poetica
É un omaggio ad un luogo dell’infanzia dove si trovano ancora i residui bellici della guerra civile che diventano giochi e cimeli. Un luogo dove si torna perché il richiamo della terra è più forte di tutto. Un luogo dove tutto si ferma per un funerale e tutti, in religioso silenzio, danno l’ultimo saluto al compaesano morto troppo presto.
È la prospettiva di tutti coloro che abitano la montagna.
“Sono sublimi queste montagne. Primogenite. Di un altro mondo. Mitologiche.“
Sono rimasta incantata dalla scrittura di questa giovane autrice, così musicale e lirica, che ha bisogno di pause durante la lettura per essere completamente interiorizzata e compresa. Tenerezza e malinconia sono state le emozioni predominanti che mi hanno accompagnato in questo strano viaggio di riconciliazione con la natura, con le piccole cose, quelle che commuovono e che ti fanno sussultare. Un libro che è un canto travolgente di amore e memoria.
“Io canto e la montagna balla” di Irene Solà, Blackie Edizioni. Un libro alla finestra.