“L’estraneo perfetto” di Nicola De Dominicis: recensione libro

“L’estraneo perfetto”, raccolta di poesie di Nicola De Dominicis, è uno scrutare a fondo nell’interiorità del poeta. Ma uno scrutare per trovare cosa? Se il mezzo di questa ricerca mi è stato chiaro – la poesia, o la scrittura in generale; scrive, infatti, in “Mi facevano da mondo”: «Cento volte le parole / mi facevano da mondo» –, e chiari mi sono stati i temi che l’hanno accompagnata – l’amore su tutti. Una nota dell’autore, all’inizio della terza sezione della raccolta dal titolo “Al fondo del buio”, recita appunto: «Credevo di non aver mai / scritto d’Amore, / ed invece / non ho scritto / che sempre d’Amore.» –, meno chiaro è stato per me capire se egli sia riuscito a trovare quello che cercava, perché, avendo inteso il “viaggio” come ricerca del proprio “io”, “del proprio essere più autentico e puro”, come scrive nella “Prefazione” Cinzia Cofano, di questa stessa ricerca io non sono riuscito a coglierne i frutti, giacché, in fondo, non sono riuscito a comprendere chi era – chi è – il poeta che mi faceva dono dei versi che leggevo.

“Chi sei, poeta?”: la domanda che ha accompagnato la mia lettura de “L’estraneo perfetto” di Nicola De Dominicis

Non scrivo queste righe con l’intenzione di incolparlo per questa che è una mia mancanza, eppure non posso tacere il fatto che, nel corso dell’intera lettura della raccolta, per quanti “specchi” egli mi abbia fornito, una domanda mi ha costantemente accompagnato: “Chi sei, poeta?” Ti ho cercato davvero, poeta, ho provato con tutto me stesso a “scambiare il cuore” col tuo per comprenderlo, quel tuo cuore che «cammina sul foglio, / e lascia le sue impronte scritte», che confessi poi di non saper cancellare, «almeno non come vorrei / perché nessuno mai / le sappia scoprire sul foglio / per poi seguirne / l’amara dolce storia»; ebbene, io ho cercato di seguire «l’amara dolce storia» che mi hai raccontato in “L’estraneo perfetto”, come un capace Femio, ma sono state le impronte che non sono riuscito a decifrare. E il dubbio è rimasto.

“Rispetto a chi si dà allora quell'”estraneo perfetto”: a te stesso? A me lettore? A entrambi?”

Nicola De Dominicis

E, tuttavia, per quanto azzardata questa intuizione possa sembrare, questo stesso dubbio mi è parso che lo condividessimo. “Forse ti stai ancora cercando?” – ho pensato – “Sei ancora impegnato, forse, nel tentativo di «slacciar[ti] di dosso / tutto l’obbligo / d’essere nel mondo / secondo la forma precisa / di un solo corpo»?” “Forse quel freddo che sento leggendo le tue poesie è il freddo vuoto che separa sé stessi da sé, quello iato prodotto dall’accumulo di forme, di tratti, di profili di un «uomo sbagliato» che altri hanno voluto associarti e che a te non corrispondono?” Non lo so… Nei primi versi di “Funambolo altissimo”, però, scrivi ancora:

Funambolo altissimo.

Da qui solo mia la Luna.

E di sotto, come denti aguzzi,

che nascono a mille dal suolo,

schegge di me.

L’anima a specchio

che presi a calci e pugni.

Ed è così che più facilmente ti ho immaginato: sospeso in un equilibrio precario su “schegge di te”, di quell’«anima a specchio / che [prendesti] a calci e pugni». E un’altra domanda urgente si faceva perciò spazio nella mia mente: “Rispetto a chi si dà allora quell’“estraneo perfetto”, titolo della tua opera: a te stesso? A me lettore? A entrambi?”

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L’estraneo perfetto” di Nicola De Dominicis, edizioni Les Flâneurs Edizioni. Un faro per la poesia

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