Una cosa che possono fare i libri cartacei rispetto a quelli digitali è passare di mano. I libri rimbalzano tra le persone, sostano nelle librerie di casa, fino a fermarsi in quelle che probabilmente diventano il loro terreno naturale. Lo so che è brutto da dire, ma ci sono libri che hanno finito la loro corsa da me. Se questo pensiero non vi va proprio giù, provate a considerare questi romanzi come dei randagi e vedrete che tutto assumerà un tono più dolce.
Uno degli ultimi volumi che sono rimbalzati fino a me è questo “Il traghettarore” di Justin Cronin, ed è un avvenimento piuttosto eccezionale perché io e il fantastico non è che andiamo proprio a braccetto. Justin Cronin è un autore e insegnante di scrittura americano di vecchia data ma con poche pubblicazioni all’attivo, anche se nel 2010 il suo “Il passaggio” è diventato un caso editoriale.
Non andartene docile in quella buona notte
Proctor Bennett è un efficiente traghettatore, uno dei più alti e rispettati incaricati per il trasporto delle persone verso la Nursery. È il luogo dove nel nostro mondo le persone andrebbero a morire, ma non nell’arcipelago di Prospera, dove la morte è solo un passaggio. Compito dello staff della Nursery infatti è quello di preparare il trapasso nella maniera più soddisfacente e dolce possibile. Le persone non muoiono, ma si ritirano, in un doppio significato che mette sullo stesso piano l’uomo e il suo operato. Un monitor sull’avambraccio misura la vitalità di una persona, e quando scende sotto una certa soglia è il momento di ritirarsi. In genere è un processo semplice e accettato, perché le persone sebbene lascino una vita gratificante sanno che ne ricominceranno un’altra altrettanto felice, con un corpo giovane, senza la memoria delle vite precedenti se non per vaghi eco e sogni.
Tuttavia può succedere che qualcuno abbia qualche turbamento all’ultimo momento. Per questo esistono i traghettatori, per confortare le persone negli ultimi istanti di vita, nel momento in cui si rendono conto che tutto quello che sono non saranno più, che tutto quello che hanno costruito in una vita, sarà cancellato in una sola notte. Con quanta leggerezza voi vi spogliereste della vostra persona pur sperando di poterne indossare un’altra?
Mi chiamo Proctor Bennet. E questa è la mia vita.
Sono un cittadino dello Stato arcipelago di Prospera. Situata lontano da qualsiasi massa continentale. Prospera si trova in una condizione di splendido isolamento, nascosta al mondo. Il clima, come tutto qui, è semplicemente meraviglioso: sole caldo, brezze oceaniche rinfrescanti, e piogge dolci e frequenti.
Infuria, infuria, contro il morire della luce
A Prospera la vita è più lunga, si arriva fino a 140 anni, i matrimoni sono contratti a tempo determinato, e il conto delle vite è sempre in pari. Non si fanno figli, ma si adottano pupilli, i sedicenni che scendono dal traghetto, pronti a cominciare un nuovo ciclo. La vita vera, quella unica, quella senza reiterazione, con figli biologici che possono morire prima dei genitori è una cosa che riguarda solo il personale di supporto. A loro le incombenze della mortalità, ai proseperiani l’impegno per le arti e i pensieri superiori.
Proctor ama la sua vita e la sua professione, ama la sua attuale moglie, Elise, anche se il matrimonio è ormai spento. Vive in una villa che il suo stipendio da direttore statale non gli permetterebbe. Peccato che sia arrivato il momento di abbandonarla.
Per Proctor, tutto comincia con il ritiro di suo padre, o tutore, se preferite. Quello che, nonostante il chiaro coinvolgimento emotivo sembrava essere un ritiro tranquillo, finirà per diventare la sua unica macchia in una carriera impeccabile. Prima di morire sotto la folla sgomenta, il padre gli sussurra la parola Oranios.
Benché i saggi conoscano alla fine che la tenebra è giusta, non se ne vanno docili in quella buona notte
Oranios, quella parola che può essere stata detta o forse no, diventa immediatamente di interesse nazionale. Proctor viene interrogato. Persino Callista, sua suocera nonché una delle persone politiche più influenti dell’isola, comincia a interessarsi alla questione, pronta a scaricarlo se dovessero nascere delle grane.
È in questo momento che parte la storia che si svelerà mano a mano nel corso di tutto il libro. Sarebbe un peccato andare oltre con la narrazione perché i presupposti di cui abbiamo appena parlato saranno presto messi in discussione. Il romanzo funziona come una matrioska, e il compito di Proctor è quello di liberarsi fino alla bambola più esterna, quella che racchiude la verità. Sarebbe un peccato perché ogni rivelazione cambia la prospettiva spazio temporale del racconto. Cos’è davvero Prospera, e da dove vengono i prosperiani?
Questa non è una punizione, tutt’altro. È il mio dono per voi, affinché siate redenti.
Vi darò l’infanzia, perché possiate conoscere l’innocenza.
Figli, affinché abbiate cura del futuro.
Fatica, per farvi capire il valore di una giornata.
Un corpo imperfetto, così che possiate vederne il valore.
Morte, affinché possiate apprezzare la bellezza dolceamara della vita.
“Il traghettatore” prende in prestito un paio di idee già esplorate e le rimescola per creare qualcosa di nuovo. Tra le altre cose, però, il libro ci interroga sul significato della vita, sui legami familiari, sul rapporto genitore figlio. Sul valore del tempo, del mondo e della vita stessa. Cosa sarebbe di noi se non avessimo ambizioni? Se non avessimo legami? Come vivremmo, se la vita non fosse preziosa?
Ogni bravo scrittore è maestro nel gettare le regole del proprio mondo, per poi poterle smantellare fino a rivelare l’ultimo inganno. Così fa anche Justin Cronin. Non si tratta di una lettura leggera. L’autore talvolta ci investe di così tante informazioni che se ne sente il peso. Forse proverete anche dei momenti di stanca, ma l’abilità dell’autore nel tratteggiare tanto i personaggi quanto il mondo in cui si muovono è fuori discussione. Nonostante alcuni eccellenti paragoni, la storia è ben organizzata e risulta autentica, sorretta da un paio di colpi di scena che ne ribaltano la prospettiva. In copertina King dice “Un romanzo in cui perdersi completamente”, io non lo so se è proprio così, ma di sicuro non è tempo buttato.
Consigliato se vi piacciono i racconti fantascientifici intrisi di mistero, le cospirazioni, e i mondi distopici col tipico dualismo tra società emersa e sommersa.
“Il traghettatore” di Justin Cronin, Fanucci Editore, 2024. Malditesto.