“Il libro delle case” di Andrea Bajani: recensione libro

Tre anni dopo la sua pubblicazione (su TheBookadvisor ne avevamo già parlato qui e qui) arriva tra le mie mani Il libro delle case, finalista ai premi Strega e Campiello 2021. Non è facile esprimere i pensieri che vengono riportati a galla dalle righe scritte da Andrea Bajani. La valutazione va fatta più sul lato emotivo che sul lato narrativo, perché di storia in questo libro ce n’è poca, ma per contro, di Storia in questo libro ce n’è tanta. Forse tutta. Per le meno per quelli nati tra i 70 e gli 80, ci sono le cucine delle nonne inondate dal profumo di ragù, gli angoli ammuffiti, e l’odore di vino e polvere che l’umidità della cantina appiccicava addosso.
Il libro della case di Andrea Bajani è un romanzo autobiografico, però potrebbe essere la biografia di un sacco di persone; ma ci torneremo più avanti.

Dopo aver scartato l’ipotesi di paragonarlo a un insieme di vostre fotografie, descritte, intuite e narrate da uno sconosciuto, ho trovato che l’imitazione poteva essere una strada, un pretesto per introdurvi alla grazia di questo romanzo, alternando le sue parole alle mie.
Questo è il libro delle case – del recensore.

Casa della lettura, 2024

La Casa della lettura non è una vera casa, ma è un luogo di lavoro. Occupa metà di un grande edificio commerciale, accucciato sul versante ovest della rotonda che lo accoglie. La Casa della lettura è ben più vecchia del 2024, ma cresce nel tempo, insieme ai dipendenti che la popolano. Nello specifico Casa della lettura si colloca al piano terra, l’ultimo spazio annesso al resto dell’ufficio. Tuttavia si può ridurre alla chaise longue beige occupata da Programmatore durante le pause pranzo. La vita nella Casa della lettura funziona quindi così, otto ore a leggere codice e documentazione da tutto il mondo, e mezz’ora per girare quel mondo con un libro. Il tempo è scandito dalla processione di Colleghi che scendono in pellegrinaggio verso il distributore del caffè: quelli che scendono in gruppo vanno a raccontare i peccati degli altri, quelli che si muovono da soli vanno a confessare i propri.

Casa della voce, 1994
Se vista da un aereo, coinciderebbe con la Casa sotto la montagna. In realtà è spostata verso sud di poco più di cento metri. Può ospitare una persona in verticale, due al massimo se insieme a un adulto c’è un bambino. È, nei fatti, un parallelepipedo di plastica, un cassone con al centro un telefono a gettoni. Il che significa una cornetta appesa a un gancio, una pulsantiera, e una fessura per inserire le monete. L’elemento che principalmente la contraddistingue è la sua trasparenza. È il palcoscenico perfetto dell’intimità. Chiunque vi soggiorni sta in proscenio; chiunque passi è invitato a guardare la messa in scena di un dialogo privato, soprattutto a osservare quel che le parole, dette o ricevute, producono sul corpo. Incorniciata dal cassone verticale, è messa in piazza l’espressione fisica del sentimento. Dentro quel teatro passano amori laceranti, liti ereditarie, racconti della buonanotte, richieste di riscatti, nomi di bambini appena nati, voti presi a scuola.

Casa del pensiero, 1980

La Casa del pensiero è la cosa più antica di cui Programmatore abbia memoria diretta. Così delicata e precaria, che dei primi anni non c’è più traccia. L’hanno vista dal di fuori, ma nessuna testimonianza arriva da dentro. La Casa del pensiero è nata che non era niente, poi è diventata un fiocco di cellulosa, poi un foglio bianco, e infine un diario. Ma affinché potessero esservici scritte le prime memorie, si è dovuto attendere la formazione di almeno una pagina. La Casa del pensiero è ancora un mistero irrisolto, nessuno ne ha trovato i limiti, non può essere contenuta né circoscritta. La fregatura resta che non può essere ricostruita. La Casa del pensiero si autodistrugge, cresce a dismisura fino a diventare pesante e troppo instabile. Casa del pensiero lo sa che le sue mura non reggeranno in eterno. Così finisce per temere sé stessa, pensa a quando non sarà più in grado di scrivere nel diario, di assolvere allo scopo di pensare. O per lo meno queste sono le eco che rimbombano spesso tra le mura della Casa del pensiero di Programmatore. La Casa del pensiero coesiste con e in tutte le altre case. Questa è un’altra sua grandezza. Ognuno se la porta dietro, e questo la rende anche una prigione. Nella Casa del pensiero si svolge tutta la vita, e la sua attività è instancabile. Quando è stimolata produce pensieri come questo: “Nel romanzo di Bajani le persone vengono spogliate della personalità e vengono ridotte a ruoli. Il protagonista si chiama Io, intorno ci sono Padre, Madre, Parenti e Moglie. Tutto è in funzione di qualcosa, case comprese. E senza nomi, senza basi emotive, appare chiaro che le nostre funzioni sono in realtà piuttosto misere. Poco più che teatro.”

Casa della critica, 2015

Il libro delle case - Copertina
Il libro delle case – Copertina

La Casa della critica è un soffocato atto di ribellione. È di dimensioni modeste eppure non riesce a essere mai completa, esattamente come chi la abita. È stata scelta secondo le abitudini di Programmatore, che però, quando rientra e indossa le ciabatte diventa più che altro Spettatore. Diventa Casalingo solo quando la pila dei panni è troppo alta per ripescare quelli in cima, o quando sul piano c’è più sugo di quanto ce ne sia sul fuoco. Ma a Spettatore non piace pensare a tutto questo. Quando si sente in colpa del tempo sprecato accende il computer. È in questo momento che si manifesta la Casa della critica, una cornice nera che racchiude un foglio bianco.

A seconda di quale cornice accende, Programmatore diventa una cosa o l’altra. Se accende la cornice di Casa della lettura, Programmatore scrive codice per le macchine. Se accende la cornice di Casa della critica, Programmatore scrive testi e quindi diventa Scrittore. Tanti anni fa Scrittore avrebbe detto che scriveva solo per sé stesso, ma nei corsi di scrittura gli anni insegnato che chi scrive per sé stesso farebbe meglio a smettere. Forse proprio per non smettere ha accettato l’idea che sono poche le cose che si fanno davvero per sé stessi.

Casa sotto la montagna, 1984
Sul campo il verde resiste, a chiazze, per pura coincidenza. È stato mancato dalle traiettorie del pallone, dalle suole delle scarpe: è rimasto fuori dalla storia delle partite che negli anni si sono disputate in quello spazio. Ma sparirà, è solo questione di dribbling e di contropiedi. Per il resto, le partite sono una faccenda di puro arbitrio, non ci sono linee a delimitare l’inizio e la fine degli spazi. Ci sono state, ma è una cosa del passato: una linea bianca di vernice sopra l’erba ha ritagliato un campo da pallone in mezzo a un prato. Il tempo poi l’ha portata via, ed è diventata memoria tramandata: chi l’ha vista la conserva, ha voce in capitolo sui calci d’angolo e i falli laterali. In assenza dei veterani, diventa negoziazione sull’invisibile. Il discrimine sono, naturalmente, l’esercizio della forza fisica e la paura. Il più forte impone la sua immaginazione.

Casa della critica, ora

Mentre scrive queste righe, Scrittore dubita di essere stato capace di raccontare Il libro delle case, perché gli manca la cosa che rende efficace il romanzo di Andrea Bajani, la precisione. È infatti scegliendo con precisione le parole che l’autore ha reso preziosa questa lettura. Osservando i protagonisti dal punto di vista delle case (e, in senso lato, delle costruzioni) li ha spersonalizzati, e per questo è riuscito a centrare il punto. Spoglio di ogni empatia, se non di una comprensione quasi empirea, il romanzo riesce a parlare dell’uomo e all’uomo in una maniera talvolta spietata, ma sempre autentica. Le sue parole, pur senza alcune efferatezza, riescono ad essere violente, perché violenta è la nostra reazione di fronte alla verità. Le case di Bajani ci dimostrano che la verità, quando non ci piace, preferiamo nasconderla. Nel tentativo di essere persone migliori, nascondiamo sotto il tappeto tutto ciò che ci allontana da questo ideale, complicando così qualcosa che in fondo è molto semplice. Di questo sembrano averne coscienza solo le tartarughe che ci accompagnano dall’infanzia (e i lettori di Bajani capiranno), ma queste verità sono così tante e così ingombranti, che intorno a ognuna abbiamo costruito una casa, pur di non vederle.

“Il libro delle case” di Andrea Bajani, Feltrinelli editore, 2021. Malditesto.

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