Scorrendo rapidamente la quarta di copertina di Mare Fermo ho avuto la sensazione di approcciarmi a un libro che parlasse di una di quelle società calcistiche dilettanti che lavorano per l’inclusione sociale dei migranti, offrendogli la possibilità di giocare a calcio. Progetti ammirevoli di cui, probabilmente, si parla sempre troppo poco.
Ma dopo aver cominciato la lettura ho scoperto che invece Mare Fermo non è solo la narrazione del progetto della Save the Youths, una squadra di terza categoria di Fermo, nelle Marche, ma è molto di più.
Il contesto: le Marche
Perché per capire bene come nascono, crescono e si strutturano i progetti umanitari è necessario conoscere il contesto. E Guy Chiappaventi lo fa in maniera praticamente perfetta, partendo dalla descrizione della florida situazione economica e sociale delle Marche degli anni ’50,’ 60 e ’70, fino ad arrivare alla crisi degli anni 2010/2016 che ha avuto delle inevitabili ripercussioni sul territorio, facendo notevolmente aumentare le frizioni sociali. Frizioni che si sono tradotte in deplorevoli manifestazioni di razzismo: l’uccisione del giovane nigeriano Emmanuel, avvenuta nel 2016, colpito a morte dopo essere stato apostrofato “scimmia africana” dall’omicida italiano. La folle azione militare di Traini, che nel 2018 si rese protagonista di una mattanza a Macerata sparando a tutte le persone di colore incontrate sul suo cammino.
“Sono convinto che un mondo migliore vada costruito cercando di capire le esigenze di tutti i popoli, non esiste speculare sul colore della pelle. Ho la sensazione che si stia speculando per prendere voti sulla pelle di questi ragazzi. Il problema non sono i poveri. Il problema è la povertà”.
Quando il calcio diventa un mezzo di inclusione sociale
Ed è in questo contesto che si inserisce la Save The Youths, una squadra che non solo accoglie i migranti, ma lavora con l’obiettivo di costruirgli un futuro, una famiglia, una vita che sia degna di essere chiamata tale. Un progetto che punta sull’aggregazione e sulla condivisione dello sport per creare una comunità dove non ci siano distinzioni di razze, né speculazioni sul colore della pelle, dove nessuno può e deve essere lasciato ai margini.
“Dicono che le onde di notte facciano una paura terribile, che il mare sembri petrolio, nero e spaventoso, una pozza pronta a inghiottire gli sventurati che osano solcarla, senza salvagente, senza bussola e senza mappa nautica”.
Mare fermo è un libro necessario, in cui Guy Chiappaventi non pretende di fare nessuna morale al lettore, ma con la precisione che caratterizza il suo lavoro da giornalista affronta il delicato argomento della migrazione. E racconta, dunque, anche uno spaccato di quell’Italia dei porti chiusi, in cui l’istigazione all’odio sembra essere diventato lo sport preferito da molte, troppe, persone.
“A me non piace la parola integrazione, perché rimanda all’assimilazione. Noi facciamo un lavoro di comunità, lavoriamo per il territorio cercando di liberare quelle risorse che ci sono ma che devono essere rivitalizzate. Ricostruire un legame sociale che un po abbiamo perduto. Credo che questo passi attraverso l’offerta di occasioni di incontro come questa storia della squadra di calcio”.
“Mare Fermo” di Guy Chiappaventi, edizioni Ensemble. Libri in Pillole.