“Magari domani resto” di Lorenzo Marone: un classico esempio di letteratura furbetta

Ho scelto di accantonare momentaneamente la mia valigia di pregiudizi e di leggere uno di quei libri che generalmente scarto a priori. Non per snobismo, ma per effetto di una selezione sempre molto attenta: non mi piace sbagliare libro, dunque dedico del tempo a decidere cosa leggere e cosa, invece, non leggere.

Questa volta però mi sono lasciato tentare dalla curiosità e ho deciso di intraprendere la lettura di Magari domani resto di Lorenzo Marone e, dopo un centinaio di pagine lette, il primo pensiero che mi è venuto in mente è stato questo: un classico esempio di letteratura furbetta. Ma andiamo per gradi.

“Magari domani resto” di Lorenzo Marone

Il personaggio. Luce è l’assoluta protagonista del romanzo: una ragazza nata e cresciuta a Napoli, aspirante avvocato. Le disavventure sentimentali l’hanno portata a essere ruvida e aspra: nel linguaggio, nei comportamenti, nelle relazioni sociali. E già qui un campanello ha cominciato a suonare: perché la caratterizzazione della protagonista ben presto diventa una sorta caricatura di una super donna, quasi esageratamente determinata e scontrosa, sempre troppo spigolosa, che non sembra mostrare neanche un attimo di debolezza. Un temperamento forte, quasi indistruttibile, che tuttavia porta Luce ad assumere una serie di comportamenti quasi in fotocopia: è una sorta di roccia che esibisce continuamente il suo essere roccia, condendo ogni azione con frasi a effetto molto retoriche e, soprattutto, con un’ironia non propriamente ricercata, che si avvicina più a quella di una macchietta napoletana che a quella di chi, invece, ricorre all’umorismo per alleggerire contesti e situazioni. Il risultato è un personaggio che appare decisamente troppo artificiale, quasi robotico, perché è come se fosse la regina dello show e dovesse costantemente intrattenere due tipi di pubblico: quello interno, composto dai personaggi che compaiono nella narrazione, quello esterno di lettrici e lettori.

Il secondo elemento che caratterizza il romanzo è la città di Napoli, che può essere considerata un personaggio aggiunto. È naturalmente il luogo dove si sviluppa la narrazione ed è costantemente presente con i suoi quartieri, vicoli, con la sua vita dura, quella che forgia il carattere, quella che crea gli scugnizzi, quella che tempra uomini, donne e bambini. Ma anche qui diciamo che la narrazione non si allontana più di tanto dagli stereotipi che hanno accompagnato il racconto di Napoli dagli anni Ottanta in poi: per carità, Napoli in parte è anche così, ma direi che si tratta di una Napoli già ampiamente raccontata da cinema e letteratura dello scorso secolo. Insomma, una Napoli che risulta un po’ troppo ridondante.

La lingua. La letteratura furbetta è quella che strizza l’occhio, quella che ammicca, che cerca di decifrare cosa ci piace per servircelo su un piatto ben presentato. E allora ecco che lo stile piuttosto colloquiale del romanzo viene inframmezzato da espressioni in dialetto napoletano, che ad altro non servono se non a rinforzare le “macchiette” che si muovono dentro al romanzo, per colorarle, per farle muovere e parlare “come fanno i napoletani”. Un’operazione che si rende chiara fin dal principio: serve un tocco di folclore, servono un paio di dialettismi messi qui e lì per ricreare l’oramai ben nota rappresentazione dello spazio sociale napoletano. E anche qui l’effetto, dopo qualche pagina, inizia a essere piuttosto approssimativo, soprattutto dopo avere decifrato il codice di inserimento di queste espressioni.

Ultimo aspetto che non ho particolarmente apprezzato è la retorica del libro: parecchi capitoli si chiudono con frasi a effetto e spesso la protagonista, o il simpatico signor Vittorio, si lasciano andare a considerazioni sulla vita che risultano tremendamente inflazionate. La sensazione è quella di essersi seduti sullo scivolo della comodità per confezionare un romanzo che potesse essere apprezzato da una moltitudine indefinita di lettrici e lettori, detto in modo più chiaro, “sparando nel mucchio”, ecco.

So di aver scritto una recensione piuttosto critica, ma mi sono fatto una promessa: non lascerò Lorenzo Marone con questo giudizio così tanto severo. Magari sono stato sfortunato io e ho scelto il suo libro peggiore: leggerò La tentazione di essere felici, Premio Strega 2015, perché mi sento obbligato a dare all’autore una seconda possibilità. Mica sempre tutti i libri possono uscire perfetti, no?

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“Magari domani resto” di Lorenzo Marone, edizioni Feltrinelli. Libri in Pillole.

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