“La fattoria degli animali” di George Orwell: propaganda, potere e cecità collettiva

Ho letto, anzi in realtà studiato, La fattoria degli animali di George Orwell per un esame di letteratura inglese diversi anni fa e, come è normale che sia, ne conservavo solo un ricordo sbiadito. Ho deciso, pertanto, di rileggerlo con altri occhi e altra testa: senza esami da superare, senza lo stress della prestazione, ma con la sola curiosità di riscoprire un libro che può tranquillamente essere considerato uno dei capolavori della letteratura del Novecento.

Ed effettivamente è un capolavoro di romanzo quello costruito da George Orwell: per l’idea originale, per la realizzazione, per l’estrema efficacia con cui è riuscito a rappresentare le distorsioni create dai totalitarismi, dalle dittature e dai meccanismi di potere quando si intrecciano con gli interessi personali.

La trama è nota e la accenno solo brevemente: gli animali di una fattoria si ribellano contro il padrone John e, dopo una rivoluzione collettiva, prendono il controllo della tenuta fondando una comunità autogestita basata sull’uguaglianza e sulla libertà. Ma ben presto i maiali, gli animali più intelligenti, si impongono sugli altri e trasformano gradualmente la rivoluzione in un nuovo regime, ancora più oppressivo: le premesse, e le promesse, iniziali si svuotano di significato, i sette comandamenti della rivoluzione vengono progressivamente traditi, fino ad arrivare alla paradossale conclusione “Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni animali sono più uguali degli altri.”

Orwell dipinge così con maestria ed estrema precisione la metamorfosi della rivoluzione, ovvero il passaggio dall’iniziale entusiasmo collettivo per la conquista del potere al consolidarsi di un nuovo, inaspettato, autoritarismo basato, da un lato, sulle distorsioni e manipolazioni della realtà, dall’altro sull’efficacia della propaganda, capace di convincere e disarmare una massa acritica, distratta, tremendamente fragile.

Il principale obiettivo della critica di Orwell, che scrisse il romanzo nel 1943, era il regime sovietico di Stalin, rappresentato nel racconto dalla casta dei maiali, ma credo sia riduttivo limitarsi a questa chiave di lettura storica, perché ciò che lo scrittore inglese rappresenta ne La fattoria degli animali è un meccanismo che, ancora oggi, può essere considerato universale: quello relativo al potere e alla corruzione, binomio che si costruisce e si consolida attraverso la propaganda, vero e proprio strumento di dominio, e la manipolazione del linguaggio che, diventa un imprescindibile mezzo di controllo utile per riscrivere la realtà e piegarla agli interessi di pochi.

Ho trovato questa lettura decisamente molto disturbante, per diverse ragioni. In primo luogo, perché si ha la sensazione che qualcosa di inevitabile stia accadendo: malgrado i segnali chiari che si moltiplicano, gli animali non riescono a reagire, né a intercettare i pericoli di una svolta autoritaria che appare imminente. Le pecore, con il loro belato monotono, ripetono meccanicamente lo slogan “quattro gambe buono, due gambe cattivo” come se non avessero alcuna consapevolezza del reale significato di ciò che dicono; gli altri animali, quasi allo stesso modo, si dimostrano incapaci di ragionare e leggere oltre la superficie, accettando con una sorta di ignavia ogni nuovo, piccolo, sopruso che, tuttavia, mattone dopo mattone, finirà per costruire la prigione dentro cui essi stessi si ritroveranno inconsapevolmente a vivere.

Ed è proprio in questa incapacità/rassegnazione collettiva che la dittatura si consolida, non solo per la forza dei maiali, abili manipolatori e oratori, ma soprattutto per la debolezza e condiscendenza del resto della comunità, che scivola inesorabilmente nel tunnel della silenziosa sottomissione. Per questo credo di aver percepito un crescente disagio durante la lettura: perché mi ha confermato l’importanza di mantenere sempre vivo il nostro spirito critico, la nostra curiosità di conoscere ciò che sta accadendo intorno a noi, di non accettare passivamente ciò che ci viene proposto e raccontato ma, al contrario, di essere, anche nel nostro piccolo, soggetti attivi e protagonisti di ogni singolo cambiamento relativo all’evoluzione sociale, politica e culturale del contesto in cui abitiamo.

“La fattoria degli animali” di George Orwell, edizioni Mondadori.


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