Duro, durissimo è il racconto di Luis Reynaldo Pérez, che con Infami ci serve su un piatto d’argento quindici pillole nere, nerissime, che raccontano la parte più oscura della città di Santo Domingo. Narrazioni che scorrono veloci come niente fosse, malgrado le vite infami di chi abita la città e l’isola siano costellate di violenza, morte e atrocità, che sembrano la naturale routine di una società dominata da cartelli della droga, clan e malavita.
Non c’è salvezza a Santo Domingo, non c’è pietà lì dove la possibilità di sopravvivenza è strettamente legata alle disposizioni criminali alle quali bisogna semplicemente sottostare: tradisci? Muori; non rispetti gli ordini? Muori; violi le regole? Muori, quasi come fosse un’ovvietà, appunto, quasi come se non esistesse altra via, perché forse non esiste davvero un modo per tirarsi fuori da un pantano nero che risucchia tutto e tutti.
“E noi battezzammo la nostra alleanza così, Squalo, perché quello siamo: un bestia predatrice senza paura di niente e nessuno. Siamo diversi soci: politici, militari, imprenditori, giudici, avvocati, banchieri, giornalisti. Sì, giornalisti. Non so perché si sorprenda se conosce benissimo la corruzione che c’è nel suo settore”.
È la marginalità più pura quella raccontata da Luis Reynaldo Pérez in Infami, quella trasversale che colpisce donne, uomini, adolescenti e bambini, quella all’interno della quale coltelli, sangue, pistole e proiettili non sono l’eccezione bensì comuni utensili da lavoro, quella in cui la morte non sempre è una tragica fine, ma a volte diventa piuttosto una liberazione da una terra oramai quasi costantemente colorata di rosso, da una vita talmente ristretta da diventare soffocante e opprimente. E allora sì, meglio morire, anche perché, d’altronde, alternativa proprio non ce n’è.
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“Infami” di Luis Reynaldo Pérez, edizioni Arcoiris. Libri in Pillole.