In un’epoca come quella attuale, in cui si tende spesso a usare in modo approssimativo determinate etichette politiche, ho ritenuto utile leggere il Manifesto del Partito Comunista di Marx ed Engels per approfondire il significato di una definizione, quella di comunista, molto spesso abusata nel discorso politico contemporaneo, soprattutto da alcune forze che la utilizzano con valore dispregiativo. Ritengo, infatti, che ci sia un solo e unico metodo per evitare di essere risucchiati nel tunnel del pressappochismo: studiare e tornare direttamente alle fonti principali.
Per questo motivo proverò a riassumere, malgrado la difficoltà del compito, questo breve ma incisivo testo scritto da Marx ed Engels alla fine del 1847, vale a dire, un anno prima dello scoppio, in tutta Europa, dei moti del 1848, anno in cui fu pubblicata la prima edizione.

Ne “Il manifesto del Partito Comunista” Marx ed Engels partono da un presupposto chiaro: “La storia di ogni società sinora esistita è storia di lotta di classi. Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e oppressori sono sempre stati in contrasto fra di loro, hanno sostenuto una lotta ininterrotta, a volte nascosta, a volte palese: una lotta che finì sempre o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la rovina comune delle classi in lotta”. Questa è l’idea di base delle successive riflessioni e proposte avanzate dai due filosofi, mediante un testo che doveva servire a “fornire alla nuova classe che si presentava in Europa sulla scena delle lotte sociali e politiche una dottrina e un programma” (dall’introduzione di Renato Zangheri).
La contrapposizione tra oppressori e oppressi, declinata in forme diverse nel corso della storia, viene continuamente ripresa per analizzare la relazione tra borghesia, intesa come classe di capitalisti moderni, dunque proprietaria dei mezzi di produzione sociale, e proletariato, inteso invece come la classe degli operai salariati moderni, che non possiede alcun mezzo di produzione. La soluzione dei due filosofi è radicale: una rivoluzione che parta dal basso, dal proletariato, con il fine di “emancipare una volta per tutte la società nel suo insieme da ogni sfruttamento, da ogni oppressione, da tutte le differenze di classe e da tutte le lotte di classe” (dall’introduzione di Engels nell’edizione inglese).
Una rivoluzione che permetterebbe di recuperare il controllo del sistema di produzione frantumando, verbo utilizzato nel testo, le sovrastrutture della società: perché “per poter opprimere una classe, bisogna che le siano assicurate condizioni entro le quali essa possa almeno vivere la sua misera vita di schiavo”. Tale dominio si costruisce essenzialmente attraverso il lavoro salariale: “la condizione essenziale dell’esistenza e del dominio della classe borghese è l’accumularsi della ricchezza nelle mani dei privati, la formazione e l’aumento del capitale; condizione del capitale è il lavoro salariale”.
Da queste considerazioni nasce la proposta de Il Manifesto: l’abolizione della proprietà borghese, cioè della forma di proprietà che si basa sull’antagonismo tra capitale e lavoro salariato. Perché “la proprietà borghese è la più perfetta espressione di quella produzione e appropriazione dei prodotti, che poggia sugli antagonismi di classe, sullo sfruttamento degli uni per opera degli altri”.
È forse questo uno dei passaggi più interessanti dell’opera, in cui Marx ed Engels rispondono anche alle critiche mosse alla loro idea rivoluzionaria: “È stato mosso rimprovero a noi comunisti di voler abolire la proprietà acquistata col lavoro personale frutto del lavoro di ciascuno […] Il lavoro salariato del proletario crea a quest’ultimo una proprietà? In nessun modo. Esso crea il capitale, cioè crea la proprietà che sfrutta il lavoro salariato e che non può aumentare se non a condizione di generare nuovo lavoro salariato per nuovamente sfruttarlo. La proprietà nella sua forma odierna è fondata sull’antagonismo fra capitale e lavoro salariato”.
Perché “quello di cui l’operaio salariato si appropria con la sua attività gli basta soltanto per riprodurre la sua nuda esistenza. Noi non vogliamo abolire questa appropriazione personale dei prodotti del lavoro necessari per la riproduzione della vita immediata […] Noi vogliamo soltanto abolire il miserabile carattere di questa appropriazione, per cui l’operaio esiste soltanto per accrescere il capitale e vive quel tanto che è richiesto dall’interesse della classe dominante”.
Il Manifesto del Partito Comunista di Marx ed Engels diventò ben presto un testo di riferimento del pensiero politico, sociale e filosofico dell’epoca, non solo perché indivudò le contraddizioni di una società segnata da profonde disuguaglianze, ma anche perché si proiettò su scala internazionale, poiché “a misura che viene abolito lo sfruttamento di un individuo per opera di un altro, viene abolito lo sfruttamento di una nazione per opera di un’altra”.
Il testo si conclude con la presentazione di un vero e proprio manifesto politico riassunto in dieci punti che, se applicati, avrebbero portato alla sparizione delle differenze di classe e alla concentrazione della produzione “nelle mani degli individui associati”, con la conseguente “perdita del carattere politico del potere pubblico, in quanto “il potere politico, nel senso proprio della parola, è il potere organizzato di una classe per l’oppressione di un’altra. Se il proletariato, nella lotta contro la borghesia, si costituisce necessariamente in classe, e per mezzo della rivoluzione trasforma se stesso in classe dominante e, come tale, distrugge violentemente i vecchi rapporti di produzione, esso abolisce, insieme con questi rapporti di produzione, anche le condizioni d’esistenza dell’antagonismo di classe e le classi in generale, quindi anche il suo proprio dominio di classe”.
Malgrado sia stato scritto oltre 170 anni fa, il Manifesto del Partito Comunista continua a essere un documento fondamentale per comprendere non solo il pensiero marxista, ma anche molte dinamiche sociali e politiche che ancora oggi caratterizzano il nostro presente.
“Manifesto del Partito Comunista” di Karl Marx e Friedrich Engels, edizioni Editori Riuniti.
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