“C’era una volta l’amore ma ho dovuto ammazzarlo” di Efrain Medina Reyes: recensione libro

Faccio una premessa: il realismo sporco è un genere che mi ha sempre incuriosito e che generalmente apprezzo molto, perché mi piace chi riesce a scavare e ravanare nel torbido per raccontare la marginalità. Dunque mi sono approcciato al romanzo di Medina Reyes, scrittore, poeta, sceneggiatore e giornalista colombiano, con una buona predisposizione.

Devo ammettere, però, che il suo libro non l’ho trovato particolarmente riuscito. Perché se la storia in sé poteva essere intrigante, e alcuni spunti sono senza dubbio da apprezzare, la realizzazione a mio personalissimo parere è stata un flop.

“Il bello è che scrivere non serve a nulla di ciò che uno vuole. Scrivere è un limite, un dolore, un difetto in più. Il bello è che dopo averlo fatto stai malissimo. Niente è cambiato, tutto rimane al suo posto (tranne i tuoi fottuti capelli), Pelé non torna in campo. […] Il brutto è che scrivere non ti guarisce dagli impulsi assassini, che rapinare un supermercato rimane il tuo obiettivo impossibile. Il brutto è che desideri ancora un amore indimenticabile. Il bello è che scrivere è un altro modo di cagare e masturbarsi. Il brutto è che leggi i grandi autori ma solo Bukowski ti rimane. Il brutto è che un giorno la ragazza carina viene a sapere che scrivi e lo stesso non si lascia scopare a morte. Il brutto è che scrivere serve a tutto quello che non vuoi”.

L’intreccio ruota intorno alla figura di Rep, un giovane di Cartagena, soprannominata la Città Immobile, che fa di tutto per dimenticare la donna che lo ha lasciato. È un ventenne che vive di espedienti, che si abbandona a uno stile di vita barbaro e disordinato, dove l’alcol e il sesso sono praticamente la benzina che fa girare il motore della sua esistenza. Dunque la narrazione avanza a colpi di donne “scopabili e inscopabili”, drink bevuti a credito nei bar, pezzi di musica rock dei suoi gruppi preferiti, su tutti Kurt Kobain dei Nirvana, e progetti di vita che tuttavia palesano continuamente il disagio di una generazione che rispecchia quella Colombia dura e difficile che raramente offre possibilità di redenzione.

“Certi uomini fanno fatica a rispettare le donne con cui stanno perché prima di innamorarsi di loro hanno avuto una storia con qualcuno che disprezzano. Sembra stupido ma sono cose che danno molto fastidio. Gli uomini non riescono ad accettare che le loro donne abbiano frequentato e concesso il proprio corpo a tizi palesemente inferiori”.

Sebbene l’obiettivo fosse quello di presentare le contraddizioni di una generazione rock che per emergere e imporsi deve prima riuscire a toccare il fondo del baratro, C’era una volta l’amore ma ho dovuto ammazzarlo mi è sembrato un libro esageratamente giocato sugli eccessi, soprattutto sessuali, del protagonista, la cui ripetitività alla lunga, quanto meno a livello personale, hanno disturbato alquanto la lettura.

C’era una volta l’amore ma ho dovuto ammazzarlo” di Efraim Medina Reyes, edizioni Feltrinelli. Libri in Pillole.

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