Libri da Leggere

“Beati gli inquieti” di Stefano Redaelli: recensione libro

La follia è un tema che da sempre affascina gli scrittori. Nel corso degli anni capolavori come Follia di McGrath, Qualcuno volò sul nido del cuculo di Ken Kesey o L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello di Oliver Sacks, giusto per citarne alcuni, hanno permesso di scandagliare la mente umana, i suoi lati più inquietanti e nascosti, consegnandoci dei personaggi memorabili, caratterizzati da comportamenti distanti da quello che la comunità considera normale.

“Beati gli inquieti” di Stefano Redaelli

Stefano Redaelli, nel suo nuovo libro pubblicato da Neo Edizioni, “Beati gli inquieti”, si inserisce in questo filone, e ci racconta una storia che ha come protagonisti uomini e donne rinchiusi nella struttura psichiatrica Casa delle Farfalle.

Antonio, studioso e ricercatore universitario, protagonista e una delle voci narranti del libro, entra in questo centro per parlare con i matti, comprenderli meglio e realizzare uno studio approfondito. D’accordo con la direttrice della struttura, potrà restare alcune settimane. Solo stando vicino ai matti, mescolandosi a loro, riuscirà a realizzare il suo intento, ci informa. Con un pc, scrivendo per ognuno degli ospiti del centro alcune pagine bene ordinate nelle sue cartelle, che andranno poi a comporre il quadro generale.

Gli ospiti di questa struttura sono esseri soli e abbandonati da tutti. La casa delle farfalle sembra essere un luogo dimenticato da Dio e dagli uomini “normali”.

La Direttrice è l’unico collegamento con il mondo dei “non matti” e con lei viene sancito un patto: Antonio potrà analizzare gli ospiti della struttura e per farlo si fingerà matto anche lui. Non prenderà le medicine, ma vivrà proprio come loro.

Leggendo questo libro mi è sembrato di fare un viaggio dall’inquieto alla serenità, grazie alla scoperta di mondi, di anime” scrive Remo Rapino a proposito del libro di Redaelli, che è professore di Letteratura Italiana presso la Facoltà di “Artes Liberales” dell’Università di Varsavia, affascinato da sempre dal rapporto tra follia e letteratura, scrivendo anche il saggio sulla follia dal titolo Circoscrivere la follia: Mario Tobino, Alda Merini, Carmelo Samonà.

Il romanzo, che è selezionato al Premio Campiello e al Premio Strega, è un viaggio profondo nei meandri della mente umana. Chi è sano? Chi è malato? Chi decide cosa è giusto e cosa è sbagliato? Pagina dopo pagina, il ricercatore scopre lati degli ospiti che non conosceva, e riscopre se stesso, in un percorso catartico e liberatorio.

In numerose interviste, Redaelli ha confermato che l’idea del romanzo risale a più di 10 anni fa, quando nel 2007 un’amica che lavorava nella comunità di Sant’Egidio, gli propose di leggere i diari delle persone di cui si prendeva cura, per farne un romanzo. Per approfondire, lo stesso Redaelli trovò un istituto psichiatrico da frequentare, per fare una vera e propria esperienza sul campo. Da qui, una diversa percezione della malattia mentale, un particolare empatia, che si respira anche in queste pagine. Ovviamente si tratta di fiction, è tutto filtrato dall’occhio del romanziere, ma gli spunti su cui riflettere sono molteplici.

I punti di vista si alternano, si confondono a volte, creando un delicato romanzo a più voci con effetti stranianti. I piani narrativi si intrecciano e al termine della lettura si comprende di aver affrontato un lavoro con tanti piani di lettura, che analizza la follia da molteplici punti di vista, non solo quello medico.

La scrittura di Redaelli ci accompagna in questo lucido viaggio nella follia, regalandoci a tratti pagine di un lirismo commovente, altre volte capitoli con impostazione più psicologica, filosofica, sociologica, che ne fanno un’opera quasi unica nel suo genere.

Alcune riflessioni, a margine, sulla lingua e sulle arti inserite nel libro: nel rapporto con la dottoressa, la Direttrice del centro, il linguaggio si fa asettico, quasi medico e distaccato. I due comunicano, ma è come se non comunicassero, se non riuscissero a dirsi nulla, o almeno molto di meno di quanto si riesca con gli ospiti della struttura. Entrambi scrivono, in cartelle ordinate sui loro pc, riflessioni organizzate sugli ospiti matti, ma lo svelamento dei loro file non è concesso, a meno di non far saltare il patto. Vite messe sul foglio bianco, pronte per essere analizzate. I dialoghi di una delle ospiti, Cecilia, che alle volte ha un’altra personalità, Tom, sono tutti privi di punteggiatura: lei è anche una poetessa, è uno spirito libero, ed è come se non effettuasse pause in ciò che dice, vomitando i suoi pensieri e le sue parole nel mondo, gridando allo stesso tempo la sua disperazione a chi non ha voglia o più tempo di sentire. Ancora, il potere salvifico della lettura e del teatro, e delle arti in genere: durante il circolo di lettura suggerito dalla direttrice, durante la lettura del Piccolo Principe o la realizzazione di un laboratorio teatrale come attività ricreativa, gli ospiti della struttura indossano nuove maschere, e finalmente sembrano liberi, qualcuno direbbe normali. Perché, in fondo, chi è che decida cosa sia la normalità?

“Mi sono chiesto perché nessuno frequenti i matti. Ho trovato tre ragioni: 1) i matti non mentono. 2) i matti ci vedono. 3) i matti sono nudi. I matti dicono sempre una verità. Anche quando parlano di persone e cose che noi non vediamo, non sentiamo, che non esistono, proprio allora stanno dicendo una verità. I matti leggono l’anima. Quando ci guardano, non ci si può nascondere. D’un tratto dicono una cosa, magari assurda, non si sa che cosa c’entri eppure ci riguarda, parla di noi. Ci hanno visto. I matti spogliano”.

“Beati gli inquieti” di Stefano Redaelli, Neo Edizioni. Libri da Leggere.

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