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“Il castello dei destini incrociati” di Italo Calvino: recensione libro

È senza dubbio un romanzo sperimentale quello costruito da Italo Calvino con Il castello dei destini incrociati, libro in cui l’autore sanremese attinge al simbolismo dei tarocchi come espediente per raccontare la storia di alcuni viandanti che si ritrovano in un castello, e in una taverna, colpiti da un improvviso mutismo.

Sono personaggi che non si conoscono tra di loro e che provano a rivelarsi a vicenda le proprie storie: più trame, pertanto, si avvicendano e si sovrappongono, ognuna relativa alle vicissitudini che hanno portato i commensali a varcare la porta del castello (e della taverna) incantato del bosco, dove nessun essere umano presente è più dotato di parola.

“Uno dei commensali tirò a sé le carte sparse, lasciando sgombra una larga parte del tavolo: ma non le radunò in mazzo né le mescolò. Prese una carta e la posò davanti a sé. Tutti notammo la somiglianza tra il suo viso e quello della figura, e ci parve di capire che con quella carta egli voleva dire “io” e che s’accingeva a raccontare la sua storia”.

Ma la particolarità è che ogni narratore può cominciare a rivelare la propria storia personale solo a partire da una carta già utilizzata dal precedente personaggio: in questo modo si iniziano a incrociare i destini dei viandanti “incantati”, esistenze segnate da paure, amori letali, morte, ricchezza e miseria, incomprensioni, allucinazioni, sconfitte. Raccontare, dunque, diventa una necessità, un atto vitale per condividere le proprie pene e alleggerire il peso delle tragedie che ognuno porta sulle spalle.

“Il quadrato è ormai interamente ricoperto di tarocchi e di racconti. Le carte del mazzo sono tutte spiattellate sul tavolo. E la mia storia non c’è? Non riesco a riconoscerla in mezzo alle altre, tanto fitto è stato il loro intrecciarsi simultaneo. Infatti, il compito di decifrare le storie una per una m’ha fatto trascurare finora la peculiarità più saliente del nostro modo di narrare, e cioè che ogni racconto corre intorno a un altro racconto, e mentre un commensale avanza la sua striscia un altro dall’altro estremo avanza in senso opposto, perché le storie raccontate da sinistra a destra o dal basso in alto possono pure essere lette da destra a sinistra o dall’alto in basso, e viceversa, tenendo conto che le stesse carte presentandosi in ordine diverso spesso cambiano significato, e il medesimo tarocco serve nello stesso tempo a narratori che partono dai quattro punti cardinali”.

Ecco allora che il lettore è chiamato a partecipare attivamente alla lettura di questo romanzo fantastico, perché il mazzo di tarocchi si configura come una guida dalle molteplici interpretazioni, una sorta di dépliant dei mondi possibili da ricostruire attraverso l’immaginazione. Ed è il simbolismo, di conseguenza, a conquistare le pagine di questo libro, poiché la polivalenza che ogni carta porta con sé rende la narrazione praticamente personalizzata, suscettibile, cioè, alla capacità di discernimento del narratore principale.

Scritto con uno stile volutamente ricercato, con riferimenti e citazioni a personaggi e opere famose come, tra le altre, l’Orlando furioso, il Dottor Faust e l’Amleto, Il castello dei destini incrociati offre senza dubbio una lettura originale, nonostante in alcuni passaggi non sia esattamente di facile comprensione. Nota a margine: nella nuova edizione pubblicata da Mondadori il testo è accompagnato dalle figure dei tarocchi utilizzati da Italo Calvino per la realizzazione delle storie, immagini utili per seguire con più attenzione la ricostruzione delle narrazioni dei protagonisti del romanzo.

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“Il castello dei destini incrociati” di Italo Calvino, edizioni Mondadori. Libri in Pillole.

Alessandro Oricchio

Dottorando in studi politici Sapienza Università di Roma, speaker di Teleradiostereo, giornalista pubblicista iscritto all'Odg del Lazio. Amante dei libri, dei viaggi, del calcio, della lingua spagnola, del mare e della cacio e pepe.

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