La vita di un lettore, mettendo sullo stesso piano carta e carne, è davvero un’esistenza a sé, parallela a quella reale. Una vita fatta di sicurezze (i libri che torni a leggere, puntualmente, e che consigli agli amici, ma che non presteresti mai), di incertezze e pause (i libri che compri, che lasci sul comodino senza lettura, che restano parcheggiati in pile che crescono ogni anno), di grandi amori che si bruciano in fretta (una seconda opera deludente, una rilettura che toglie entusiasmo) e di incontri occasionali che poi sogni periodicamente, sui quali rimugini più che spesso e sui quali cerchi, continuamente, un compromesso tra il rimpianto e il rimorso.
Sono quei libri che ti arrivano quasi per caso, il grosso delle volte: un consiglio casuale, un gruppo di lettura, un post sporadico sui social, un acquisto compulsivo in libreria perché spinto dalla copertina o dalla citazione giusta nella quarta.
Scott Heim, autore statunitense
Negli ultimi dieci, quindici anni di letture io ho sempre sintetizzato questa occasionalità con Scott Heim, autore che ha visto tradurre in italiano due delle sue tre opere di narrativa pubblicate negli States: Mysterious Skin e Le sparizioni. Un autore che ho scoperto per caso, facendomi incuriosire sia dal titolo non tradotto, riportato fedelmente dalla Playground nella sua pubblicazione italiana datata 2006, undici anni dopo l’edizione originale americana (1995), sia da una copertina che sembrava già farmi da intro. Due anni dopo, ho aspettato con piacevole ansia la sua seconda opera, Le sparizioni (titolo originale, We disappear), portata in Italia questa volta da Neri Pozza (collana Bloom). Da lì, il silenzio. Resta inedita nel nostro paese la sua seconda opera, in ordine bibliografico, In Awe (1997), e i suoi contributi alla poesia sintetizzati in Saved from Drowning (1993). Un silenzio che, a quanto si legge dalle scarne informazioni biografiche in rete, è continuato nella narrativa a prescindere dalle traduzioni internazionali, lasciando posto ad altre produzioni e ruoli nelle arti letterarie.
Mysterious Skin, dicevo (su Le Sparizioni, ci tornerò in futuro). Giravo in libreria, lo presi in mano, mi innamorai di titolo e copertina. Doveva essere un venerdì, perché ricordo di averlo letto in un fine settimana fatto di casa e poche relazioni, e che il risveglio del lunedì fu difficile, con la bocca aspra, rovinata.
Mysterious skin, un libro che fa male
La trama? Un trauma. Non saprei sintetizzarlo meglio, e lo penso tanto oggi quanto allora, a lettura appena ultimata.
In rete, avevo letto una recensione (di Marco Rossetti) che racconta bene la sensazione che si prova una volta preso in mano in libro: taglia. Fa male, lacera alcune certezze, sminuzza convinzioni assolute con cui porti avanti la vita reale, perché ci sono argomenti che non abbiamo mai la forza di trattare, né a voce né nel silenzio di un proprio diario. E che anche la letteratura, o il cinema (Mysterious Skin ha avuto un’ottima, pur diluita nei ritmi e nella durezza, trasposizione cinematografica) sono quasi sempre deboli con argomenti come questo: la pedofilia, perché di questo che parla, di cui ci parla, Mysterious Skin.
Lo fa attraverso le voci di altrettanti protagonisti che trasformano, grazie all’abilità di Heim, una storia individuale in un dramma corale dove i solisti sanno alternarsi e unirsi a seconda del tempo e della storia. Perché è corretto che sia così, non ci sono solo una vittima e un colpevole in un evento del genere, ma sotto accusa (e in ricerca di assoluzione) ci va tutto: la città in cui vivi, i genitori (tuoi, e degli altri) con cui ti relazioni, fratelli e sorelle, amici, la scuola che frequenti, lo sport che pratichi. Soprattutto se vivi in Kansas, in una piccola cittadina come Hutchinson, piatta e uniforme, in cui si muovono personaggi travolti da una goffaggine emotiva, sociale, relazionale più comune di quella che, individualmente, siamo in grado di riconoscere e ammettere. E che, nessuno escluso, cerchiamo di mascherare e nascondere a più riprese nella nostra vita.
Non insisto sulla trama, che Heim trasforma (come dicevo sopra) in una narrazione corale, di solisti ben affiatati nella loro diversità (con voci di bambino, di adolescente, di adulto), né cerco una morale, che risulterebbe inutile e forzata. Anche perché Heim non la cerca, mai, e si “limita” (un limite positivo, in una narrativa che spesso si eleva, non richiesta, fino a diventare pulpito) a raccontare i fatti, le emozioni, i turbamenti, i disturbi, la crescita, il dolore fisico e mentale, le lacerazioni e la mancata “età adulta” dei protagonisti, bloccati in ciò che di terribile e irrisolto si è protratto loro per anni. Fino ad un dialogo finale, che (forse) diventa spiraglio di speranza, amicizia e relazioni sane.
Per approfondire:
- la scheda di Scott Heim su Wikipedia (lingua inglese)
- la scheda tecnica del film
- la scheda del libro su IBS
- la recensione di Marco Rossetti
“Mysterious skin” di Scott Heim, edizioni Playground Libri. Indimenticati.