Mi piacciono i libri di Nori.
Mi piace quando sto leggendo l’ultimo libro di Nori e sto tornando a casa, anche se ormai esco poco e non mi capita più tanto spesso di uscire e di tornare a casa, e penso: “Adesso arrivo a casa e vado avanti a leggere l’ultimo libro di Nori”.
Questa è copiata da Nori, ma Nori mi sembra uno che non bada a queste minuzie, così continuo… mi sarebbe piaciuto tornare a casa con Anna e con Mandel’štam a Leningrado, mettermi a piangere come Osip, citare a mia volta Dante e, rivolto ad Anna, anticipare Mandel’štam nel dire: “Mi scusi. La sua voce, Pietroburgo e Dante, tutte e tre insieme, è un po’ troppo”.
D’accordo, smetto di copiare di sana pianta… e smetto di copiare anche d’insana pianta.
“Vi avverto che vivo per l’ultima volta” di Paolo Nori
Del resto la vita è così, “orribile e meravigliosa”, ma quando leggi un libro di Nori, ma quando il libro di Nori ti parla di Anna, di Anna Gorenko, di quella Anna Gorenko che disse al padre: tranquillo, non infangherò il tuo rispettabile cognome scrivendo quelle cosuccie poco edificanti che tu ritieni essere le poesie, e divenne Anna Achmatova, poeta, non poetessa, con quelle cinque “a” che sono già lirica e poesia. Ecco, quando fai tutto questo, ecco, la vita ti sembra già un po’ più meravigliosa e un po’ meno orribile. Ti sembra di non essere più un pessimista, ma solo un pessimista mal informato. E questo perché la poesia di Anna, è come un raggio di sole che penetra nel nostro quotidiano, lo illumina, blocca a mezz’aria la polvere e ci offre una nuova prospettiva.
Leggere poesia in traduzione, dice un giapponese in un noto film, è come fare la doccia con l’impermeabile, ma se sono poesie di Anna, si può fare: vi bagnerete anche con l’impermeabile. E se delle poesie di Anna avevano bisogno anche nei gulag, tanto da inciderle sulla corteccia, forse potremmo farci un pensierino anche noi, ormai prigionieri dell’indifferenza. La poesia, quella cosa che poi basta così poco:
“Una crosta di pane
Un ditale di latte
E questo cielo
E queste nuvole”
La città è Leningrado, i versi sono di Chlebnikov, ma Anna era Leningrado e ci piace pensarla mentre fissa quel cielo, quelle nuvole e respira quella luce abbacinante.
Ma questo è anche un libro che parla di g… e di censura. La g…, quella cosa che ormai non si può più scrivere nemmeno in una recensione, e la censura, quella cosa che fa sì che non se ne possa più scrivere. Quella cosa che fa dire a Vonnegut di sentirsi in colpa per il successo di “Mattatoio 5”, dato che aveva calcolato di aver guadagnato due o tre dollari per ogni morto nel bombardamento di Dresda, nel quale, da prigioniero, aveva rischiato di morire anche lui. Vonnegut si sentiva in colpa e non ci dormiva, oggi altri guadagnano ben più di due o tre dollari a cadavere, non sono becchini, e ci dormono benissimo.
Perché a me e a Nori non piace né la g… né la censura. E a chi potrebbe piacere se, come sottolinea il memento di Anna, si ricordasse che vive per l’ultima volta. Continua a piacerci, invece, e molto, la Letteratura Russa, quel “Borzoi” ostinato che galoppa dietro la realtà e a volte riesce a raggiungerla, e a volte la supera sullo slancio, tanto che se passate di fronte al palazzo dove è stato interrogato Dostoevskij, prima della condanna a morte, può essere che ci troviate una guida con i turisti, ma se passate di fronte a quello dove è stato interrogato Raskol’nikov, una guida con parecchi turisti ce la trovate di sicuro! E se questo amore incondizionato per la Letteratura e per la Poesia Russa a qualcuno non garba, non importa : “ci piace che ci grandini sul viso la fitta sassaiola dell’ingiuria”.
Vieni a parlare di libri con tutti noi nel gruppo Facebook The Book Advisor
“Vi avverto che vivo per l’ultima volta” di Paolo Nori, edizioni Mondadori. I libri di Riccardo