Venghino, signori, venghino… “il circo è arrivato qui in città”.
C’è poco da fare, Paolo Nori è uno spettacolo e questo libro è un Barnum.
Apri il libro, e ti ritrovi al circo in prima fila. Un circo moderno, un circo che non torce un pelo agli animali, semmai ne torce più di uno, di pelo, alla disordinata barba di Dostoevskij, mentre il domatore fa saltare, a colpi di frusta, il meglio della letteratura russa del diciannovesimo secolo.
Sanguina ancora, di Paolo Nori
I buoni libri non offrono risposte certe, ma offrono domande certe, infatti anche l’ottimo libro di Nori si apre con una domanda: perché leggere Dostoevskij? Domanda lecita, tenendo conto che, se non avete letto Dostoevskij, io e Nori vi invidiamo, e se non avete letto nemmeno Pushkin, Gogol’, Tolstoj, Checov, Bulgakov e Lermontov, io e Nori vi invidiamo moltissimo pensando a quanta bellezza avrete davanti se, un domani, decideste di intraprendere il Cammino per antonomasia …non quello di Santiago, il meraviglioso Cammino nella Letteratura Russa. Perché Nori si ricorda la stanzetta in cui ha letto “Delitto e castigo”, e la stanzetta in cui l’ho letto me la ricordo anch’io. La sua era una stanzetta di campagna, la mia una stanzetta di città. Un po’ come i topi della favola di Esopo, e se ti ricordi la stanza dove hai letto un libro e lo scaffale dove l’hai preso, significa una sola cosa: che hai indovinato a prendere proprio quel libro e non altri.
Se invece doveste propendere per rinunciare, perché quei nomacci russi son complicati, con tutti quei patronimici e quei vezzeggiativi, che poi va a finire che nei libri ci trovate più gente dei vostri amici, cosa che complica notevolmente un produttivo scambio di opinioni in merito al romanzo, la rinuncia potrebbe indurmi a considerarvi, come direbbe Bulgakov, lettori di seconda freschezza, al pari di un certo storione che gode di scarsa fama culinaria, ma di rilevante fama letteraria.
Però, ego vi absolvo, in nome dell’Uomo del Sottosuolo e in nome di Massimo Troisi, perché “io son poi da solo e loro son tutti”.
Erano tempi strani quelli toccati in sorte a Dostoevskij.
Tempi strani popolati da giovani strani, giovani capaci di riunirsi per leggere Gogol’ e parlarne tutta la notte. Magari per parlare del tragico declino del genio, il genio che aveva scritto il dialogo tra la “signora piacevole sotto tutti i punti di vista” e la “signora semplicemente piacevole”. Tempi strani in cui ci si vestiva come Tolstoj e si mangiava come Tolstoj. Tempi in cui La Pigrizia aveva cittadinanza, e per informazioni citofonare Oblomov, cittadinanza e stima più che meritata perché, come dice Nori, la pigrizia ti dà delle soddisfazioni che le persone attive non se le immaginano neanche.
Tempi strani e pericolosi
Tempi strani e pericolosi. Fate attenzione, se mai dovesse venirvi l’uzzolo di leggere una mia recensione ad alta voce, o magari una di D’Orrico, perché potreste trovarvi a decidere come suddividere gli ultimi cinque minuti della vostra vita… dite che è difficile? …avete ragione, da tempo non abbiamo più un Gogol’ e io e D’Orrico siamo ad anni luce dal livello di un Belinskij. Sì, avete capito, la famosa lettera, quella che costò a Dostoevsky la condanna a morte, quella che ogni studente russo conosce a memoria, un inarrivabile capolavoro di stima e rancore.
Un libro su Dostoevskij e su Pietroburgo.
Una città particolare e un uomo particolare.
Dostoevskij, l’uomo che scrive “in occidente una persona senza un milione non è uno che fa tutto quel che vuole, è uno a cui fanno tutto quel che vogliono”. Particolare, ma attuale, vero?
Dostoevskij e Pietroburgo, così indissolubilmente legati, tanto che si è indagato a lungo per scoprire l’ubicazione esatta della casa di Raskol’nikov, per poi scegliere la più plausibile, dove incanalare frotte di turisti smaniose di contare gli scalini che portavano all’ultimo piano. Del resto Pietroburgo è “la più astratta e premeditata città del globo terraqueo”, una città in cui, se hai bisogno di un sottomarino, basta andare in Piazza del Fieno e chiedere a qualcuno, che chiederà a qualcuno, fino a quando qualcuno chiederà a te di che colore preferisci il sottomarino.
Nori sostiene che chi scrive è destinato a vedersi rivolgere la domanda “perché scrivi?”, domanda che sembra suggerire che, magari, fare altro potrebbe venirti meglio… ora, Dostoevskij non dava adito a certe domande e tanto meno a certi sottintesi, ma si discute ancora se giocasse per scrivere o se scrivesse per giocare, e la sua biografia non aiuta a dipanare la vexata quaestio.
Sanguina ancora di Paolo Nori, a mio avviso, fa al caso vostro perché è un libro da lettori. Voi direte “che ovvietà!”, ma io intendo un libro da lettori di una volta, perché a me e a Nori fanno… si può dire innervosire? …fanno innervosire, specie se son scrittori o gente che lavora in editoria, quelli che non leggono più libri, quelli che non hanno tempo perché devono scrivere, quelli che i libri li ascoltano negli audiolibri, che i libri li guardano nelle serie televisive… insomma, come dice Nori, tutti quelli che leggono “non di persona”. Ma forse il mondo è cambiato e mi dovrò adeguare, magari insegnando Letteratura Russa, perché come dice sempre Nori citando Metter, “Se non sai una cosa, mettiti a insegnarla, vedrai che la impari”.
E voi, come me, imparerete diverse cose su Dostoevskij leggendo questo libro, e se son cose che conoscete già, imparerete diverse cose su Togliatti e Antonio Pennacchi, e in subordine, su Paolo Nori.
“Sanguina ancora” di Paolo Nori, edizioni Mondadori. I libri di Riccardo