“Resto qui” di Marco Balzano: recensione libro

Per invitarvi a leggere “Resto qui” di Marco Balzano non occorrono molte parole. Basterà l’immagine del campanile sommerso di Curon a calamitare la vostra attenzione e a farvi immergere nella lettura di una storia particolare e indissolubilmente legata a un territorio altrettanto particolare.
Una storia che parla di scomparse.
Quella di una persona, quella di un’epoca, quella di una lingua, quella di un paese e della sua comunità. Ma per quanto l’uomo e il tempo possano affannarsi, le scomparse sono destinate a lasciare retaggi per obbligare chi vi inciamperà a scrutare sotto il pelo dell’acqua.
Le bifore di un campanile accarezzate da piccole increspature o strette nell’abbraccio di neve e ghiaccio; un lingua che, trovato ricetto in scuole clandestine, rinnova le sue sonorità nelle voci dei bambini; un quaderno di disegni a esprimere i sentimenti di chi non sa destreggiarsi con le parole.

D’altra parte “…andare avanti è l’unica direzione concessa all’uomo, altrimenti Dio ci avrebbe messo gli occhi di lato come ai pesci.”

Un libro che ci restituisce una pagina di storia poco conosciuta, che ridà voce a una comunità che per sfuggire il fascismo è stata spinta nelle braccia del nazismo o sulle cime dei monti, per poi ridiscendere a valle e scoprire che anche se si sfugge ai malvagi, si è destinati a soccombere alla malvagità, lesta a indossare la rassicurante maschera della democrazia, e forse per questo, più sleale e più pericolosa. Perché è necessario comprendere che “anche se non vi occupate di politica, prima o poi la politica si occuperà di voi!”

Uno stile incisivo e asciutto, forse per contrasto con le vicende narrate. Una scelta stilistica coraggiosa quella di preferire una narrazione in prima persona che a tratti scivola nella seconda. Una prosa che sa far poesia del suo essere così scarna.

“Resto qui” di Marco Balzano, edizioni Einaudi. I libri di Riccardo

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