Qualcosa sui Lehman, di Stefano Massini.
D’accordo, avete gustato con soddisfazione i Buddenbrook, poi avete ritrovato gli stessi sapori, ma con le note speziate e yiddish dei Karnowski di Singer… oso sperare che non vi siate lasciati sfuggire “Qualcosa sui Lehman” che in una sorta di nouvelle cuisine narrativa, rielabora entrambi i piatti utilizzando come ingredienti la storia della famosa famiglia che dalle “stalle” di Rimpar, Baviera, è arrivata a cucire il suo nome di fianco alle “stelle” della bandiera americana. Massini rielabora il piatto destrutturando la “fabula” e utilizzando la dietetica cottura del romanzo-ballata che tradisce l’origine teatrale dell’opera.
Romanzo-ballata?
Tre fratelli
una mente illuminata da un vecchio rabbino
un braccio, ché sennò che te ne fai di una mente?
e una patata kisch-kisch, ché sennò che te ne fai di una patata?
Tre fratelli
una testa, un braccio e una patata
mai chiamati “schmuck” da un padre
finiranno per essere chiamati “schmuck” da un padre tradito
da un padre abbandonato
come promessa sposa
abbandonata per una sposa
che porta in dote un carillon chiamato America
mazel tov!
Ho reso l’idea? …no? …beh, fatevene una ragione, mica sono bravo come Massini!
Per una volta iniziamo dalla forma, pregio indiscusso di questo romanzo. L’esigenza di trasformare in narrativo un testo teatrale regala al lettore una delle rare opere davvero innovative della letteratura italiana degli ultimi anni.
Un’apoteosi poetica dello “show don’t tell” che perde l’artificiosità scolastica della tecnica per mettersi al servizio del lettore e alleggerire un impianto narrativo pretenzioso come una Torre di Babele, rendendolo quanto mai fruibile e di aerea lettura. L’uso quasi ossessivo dell’anafora, nel quale la ripetizione, mai fine a se stessa, diventa preziosa bussola che consente di non smarrirsi nelle quasi cento ramificazioni dell’albero genealogico dei Lehman, dona musicalità alla lettura e rilievo iperdimensionale a ogni singolo personaggio. Il lettore, come Solomon Paprinskij, danzerà su un filo teso su quasi due secoli di storia americana e avrà la sensazione di osservarla da un punto di vista privilegiato e di cogliere i mille dettagli nascosti dalle pieghe del tempo e conditi da un sarcasmo, a volte delicato a volte feroce.
Quanto alla storia, Massini non si fa mancare niente e non ci fa mancare niente: lingue, numeri, simboli, film, musica, perfino fumetti, tutto funzionale a spiegarci come sia possibile risalire dalla ventunesima fila del Tempio fino alla prima. Del Tempio Ebraico e di quello della Finanza, del tempio ossequioso alle ataviche leggi del lutto aschenazita e di quello in cui ogni lutto è finalizzato alla palingenesi famigliare e societaria.
Un romanzo contenitore dove libereremo dalla polvere del baule della Storia: cotone e schiavitù, carbone e petrolio, forze motrici di un paese rinnovato dalla guerra di secessione ma ugualmente spietato con i nuovi schiavi, un paese dal volto giovane ma già segnato dalle mille rughe di strade ferrate e non, costruite con il sangue di ebrei, nativi americani e cinesi, per far scorrere la linfa vitale dei nuovi mezzi di trasporto, in attesa della levità di quelli che attraverseranno i cieli. Due guerre mondiali, separate dal una rovinosa caduta dal filo, e poi ancora altre guerre, senza distinzione tra amici e nemici, perché la guerra è sempre opportunità di ricostruzione, e frigoriferi e televisori sono pronti a far utili se ci mostreremo clementi con i vinti. E poi i numeri a fagocitare tutto, anche se stessi, e restituire i loro ricordi a quattordici fantasmi seduti intorno a un tavolo.
Un romanzo indelebile, quasi un tatuaggio narrativo.
“Qualcosa sui Lehman” di Stefano Massini, edizioni Mondadori. I libri di Riccardo