Èun meccanismo pressoché perfetto la famiglia Popinga, e Kees Popinga ne è l’ingranaggio centrale perfettamente lubrificato, ma, si sa, uso e tempo consumano anche i meccanismi perfettamente lubrificanti. A volte però il destino non ha il tempo di attendere il Tempo, e lascia cadere un granello di sabbia per accelerare la rottura dell’ingranaggio.
L’uomo che guardava passare i treni
Se poi il granello ha le dimensioni di un sasso, le conseguenze saranno a tal punto catastrofiche da farne materia di narrazione e offrire a Simenon la possibilità di trasformarla in uno dei romanzi più amati dai suoi lettori.
Avrete già capito che ritroverete tutti i topoi della produzione del grande scrittore belga, dalla forza beffarda e ineluttabile del destino al tentativo dell’individuo di liberarsi del grigiore della provincia, in questo caso olandese, dove anche il colore vermiglio del sangue pare preferibile all’anonimato, dove anche la follia è una caduta che assume le sembianze della resurrezione.
Parigi sarà il palcoscenico scelto da Popinga per giocare la sua partita a scacchi contro autorità e mezzi di comunicazione, ma purtroppo sarà una partita troppo seria per poterla vincere affogando un alfiere in un boccale di birra scura. Così, se qualche giorno di notorietà non lo si negava a nessuno anche quasi un secolo fa, per il ruolo di eroe, pur negativo, occorrono talenti ben superiori a quelli di un oscuro contabile olandese.
Come i treni che Kees Popinga amava scrutare, attratto dalla possibilità di essere trasportato nella notte verso un’alba catartica, il romanzo procede su binari precisi che sembrano destinati a portarlo in perfetto orario alla prevista stazione d’arrivo, ma attenti, Simenon è capostazione troppo esperto per non mettere mano a uno scambio e far deragliare le aspettative dei lettori.
“C’è una maschera per la famiglia,
una per il lavoro.
E quando resti solo,
non sei nessuno.”
“L’uomo che guardava passare i treni” di Georges Simenon, edizioni Adelphi. I libri di Riccardo