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“L’inferno di Treblinka” di Vasilij Grossman: recensione libro

Pochissime sono le pagine che servirono a Vasilij Semënovič Grossman, allora popolare corrispondente di guerra, per descrivere Treblinka, la catena di montaggio della morte. Poche, ma talmente dense che per il lettore sono destinate ad acquistare un terribile peso specifico, a tramutarsi nel buco nero dell’orrore che ingoiò tre milioni di persone.

Unico esempio di un macello dove le bestie uccidevano gli esseri umani.

Un libro che riporta le testimonianze dei contadini polacchi e di un numero talmente esiguo di sopravvissuti che per contarli bastarono le dita di una mano, ma straordinariamente importanti visto che furono raccolte appena l’Armata Rossa arrivò a Treblinka marciando su strade nere di ceneri umane che attutivano i rumori degli stivali quasi a reclamare il raccoglimento del silenzio.

Il crudo resoconto di un incubo, a tal punto reale, da finire agli atti nel Processo di Norimberga.

Treblinka, un inferno in confronto al quale quello di Dante pare uno scherzo di Satana, un luogo che resterà nella Memoria dei Popoli come quello della violenza più efferata e della menzogna più subdola che la Storia abbia mai conosciuto da quando ebbe un senso darle questo nome: la finta stazione ferroviaria, con tanto di deposito bagagli e binari che finivano sul limitare del bosco, per tranquillizzare viaggiatori stipati sui carri bestiame, e poveri illusi che vi giunsero in carrozze di prima classe, ingannati sulla loro reale destinazione. La rassicurante, graziosa, costruzione che nascondeva le camere a gas, coi suoi davanzali colmi di fiori e gli scivoli affacciati sul binario a scartamento ridotto dove lunghe file di vagoni attendevano i cadaveri per condurli alle fosse che le ruspe scavavano notte e giorno.

Potete aver letto decine di libri sulla Shoah, ma questo, nonostante il taglio giornalistico e qualche concessione propagandistica all’eroismo di Stalingrado, si farà stigma della vostra umanità e sentinella della stessa, ameno fino a quando “capiremo che l’idea dell’eccellenza di una nazione, di una razza o di chissà che, reclama Treblinka, Sobibor e Auschwitz.”

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“L’inferno di Treblinka” di Vasilij Grossman, edizioni AdelphiI libri di Riccardo

Riccardo Gavioso

Nasce a Torino nel 1959, dove si laurea in Giurisprudenza. Ma ormai incerto su chi fossero i buoni e i cattivi, e pur ritenendo il baratto una forma di scambio decisamente più evoluta del commercio, da allora è costretto a occuparsi di quest’ultimo. Inevitabile, quindi, che l’alienazione professionale lo spinga tra le braccia di una penna e che la relazione, pur tra alti e bassi, si protragga per diversi anni. Poi, deluso in egual misura da quel che si pubblica e da quel che non si pubblica, smette di scrivere narrativa e si occupa di giornalismo collaborando con diverse testate di rilievo e creando un blog che arriva a incuriosire diecimila lettori al giorno. Torna alla narrativa con Arpeggio Libero con cui pubblica attualmente. Ha ottenuto diversi riconoscimenti per i suoi racconti. Nel 1997 è stato finalista al Premio Internazionale di Narrativa “ Il Prione ”.

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