Nei capolavori di diversi artisti, a partire da Fidia per arrivare al genio di Vinci, è parsa evidente la perfezione della proporzione aurea. Quella stramba cosa che, con un bel po’ di approssimazione, a dispetto dell’esattezza matematica della sua origine, potremmo definire come la pietra filosofale della bellezza. Stigma che è parso altrettanto evidente in architettura, in musica e perfino in poesia.
E in letteratura?
Anche in questo romanzo, che è il romanzo dell’odio borghese per antonomasia, le proporzioni dello stesso, la sua rappresentazione pacata, ostinata, muta e implacabile, che alla lettrice attenta ricorderà quella de “Il Gatto”, sono perfette. L’odio, figlio legittimo e naturale di un segreto troppo a lungo custodito, gioca al gatto col topo, per l’appunto, con l’ipocrisia di Mathilde e Poldine, con la vendetta in odor di santità di Viève. Un odio che da algido « …diventava tanto più spesso, tanto più vischioso, tanto più pesante, tanto più perfetto quanto più lo spazio si riduceva».
Questo romanzo terribile e perfetto, claustrofobico e cupo come un pesante tendaggio di damasco, appena ristampato da Adelphi in una nuova ottima traduzione, meriterebbe maggiore considerazione nella vastissima produzione di Simenon. Terribile e perfetto, perché se la perfezione esiste, sa farsi terribile moneta di scambio del patto col… con l’arte.
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“Le sorelle Lacroix” di Georges Simenon, Adelphi Edizioni. I libri di Riccardo