Recensire un libro significa giudicarlo, l’etimologia, sia pur in senso lato, conferma l’assunto.
Raramente mi sono trovato in difficoltà nel giudizio. Scelgo con cura le mie letture e le mie recensioni sono spesso positive. Questa volta però sono in difficoltà, tanto vale ammetterlo. Avrei voluto dare un ottimo giudizio sul romanzo della Postorino, vincitore del Premio Campiello, se non altro per vendicare le pretestuose polemiche che ne avevano accompagnato l’assegnazione speculando sull’avvenenza dell’autrice e sul suo ruolo di editor e di addetta ai lavori.
Le assaggiatrici: trama interessante
La trama è interessante e, rifacendosi alla verità storica delle assaggiatrici del cibo destinato al Führer rintanato nella Tana del Lupo, ci narra le vicende delle donne che nella disfatta del Terzo Reich hanno scoperto che, se la mancanza di cibo può uccidere, può uccidere anche l’anomalia della sua abbondanza in tempi di guerra e carestia e che a uccidere non è sempre il veleno, ma spesso il senso di colpa.
Il libro, best seller anche prima del Campiello, non aveva attirato la mia attenzione: sono anni che pubblicati e letti i capolavori che narrano la Seconda Guerra Mondiale e la Shoah, siccome l’argomento attrae ancora molti lettori, si vaglia la storia alla ricerca del particolare per farne spunto narrativo, dimentichi che ogni libro che racconta il conosciuto ha il dovere di aggiungere qualcosa di rilevante sul piano storico o su quello stilistico, meglio su entrambi. L’assegnazione del premio però mi ha convinto a tornare sui miei passi.
Un libro da leggere
A molti il libro è piaciuto, a me non è dispiaciuto e vi consiglio di leggerlo, ma ha alcuni difetti rilevanti che, per correttezza, non posso far passare sotto silenzio. Anzitutto, morta l’ultima assaggiatrice prima che la Postorino potesse parlarle e tentare di violare un riserbo durato una vita, all’autrice non è rimasto che lavorare di fantasia e romanzare la vicenda. Fin qui niente di male, se non fosse che a tratti la storia più che romanzata appare romanzesca, destinata a vezzeggiare una trama più che a fornire al lettore una prospettiva particolare dei giorni della caduta di Hitler o la percezione di come il fatto che Göring fosse ormai in grado di infilarsi i pantaloni di Goebbels avesse mutato il comune sentire della popolazione tedesca. Le protagoniste paiono spesso stereotipate e, in quanto tali, inadatte a svolgere un ruolo che richiederebbe una loro tridimensionalità storica.
I libri dovrebbero essere letti fino in fondo, nonostante il famoso decalogo di Pennac, e questo romanzo ce lo conferma. Il registro narrativo muta radicalmente nell’ultimo terzo, si libera dei difetti che ho evidenziato e ci regala finalmente una scrittura degna del Campiello.
Il giudizio finale quindi si complica e mi trarrò d’impaccio con una domanda provocatoria: non è che a una delle migliori editor del panorama letterario italiano sia mancata una buona editor?
A voi la risposta e l’invito a leggerlo perché, nonostante i difetti, rimane un buon libro che avrebbe potuto essere un ottimo libro.
“La capacità di adattamento è la maggiore risorsa degli esseri umani, ma più mi adattavo e meno mi sentivo umana”
“Le assaggiatrici” di Rosella Postorino, edizioni Feltrinelli. I libri di Riccardo