“La vedova Couderc” di Georges Simenon”: recensione libro

“Se tu penserai, se giudicherai, da buon borghese,
li condannerai a cinquemila anni più le spese,
ma se capirai, se li cercherai fino in fondo,
se non sono gigli, son pur sempre figli, vittime di questo mondo.”

Cosa c’entrano gli indimenticabili versi di Faber con Georges Simenon, che è stato molte cose, ma certamente non viene ricordato come poeta?

Vi invito a scoprirlo leggendo questo romanzo, ma vi invito a farlo solo se sarete in grado di leggerlo con occhi non condizionati da borghese miopia, ma con occhi puri che vi consentano di leggerlo davvero fino in fondo.

Diversamente, come potreste notare il candore di sentimenti che è anche di un assassino, e il fatto che è stato, e rimarrà, pur sempre vittima di questo mondo. Come potreste provare empatia per la voglia di rivalsa di una brutta contadina, una donnaccia direbbero molti, a sua volta vittima di un’infanzia negata e della folle gelosia per le poche cose che il destino le ha messo tra le mani. Ma, soprattutto, come potreste scorgere la grettezza d’animo di coloro che li cingono d’assedio e che, ripuliti nei vestiti della domenica, scimmiottano quei buoni borghesi che sono da loro ben altra cosa.

Il lettore appassionato di Simenon sa che i suoi romanzi scivolano sul piano inclinato del Destino, dove vengono inesorabilmente spinti da passione e follia, e che ha ben poco senso cercare un appiglio, col solo risultato di accelerare la caduta. I neofiti è meglio che lo comprendano, che non vezzeggino illusioni, perché, come disse Albert Camus, Simenon “va oltre”, porta la letteratura alle sue estreme conseguenze, e in questo è la sua grandezza.

Una grandezza che lo rende capace di muoversi, a suo agio, nei salotti buoni che si affacciano sulla Senna, e con altrettanta perizia in buie casupole dove un sole, impegnato a scaldar gente d’altri paraggi, nega i suoi raggi. In un polveroso granaio che si specchia in un canale dove le chiatte sono trainate da asini che si muovono lentamente, assecondando i ritmi della natura, su una terra gonfia di odori. Una terra ricca, ma di uomini poveri, dove anche un’incubatrice per le uova, alla luce tremolante di una fiammella, può scaldare il cuore e far covare loro chimere di rivalsa e riscatto sociale, senza comprendere che il loro becco è del tutto inadatto a forare il duro guscio del ceto.

Di condanne tratta questo libro.
Di condanne degli uomini e del Destino.
E, come giudice, il Destino è molto meno indulgente degli uomini.

Questa volta so di essere in debito, oltre che con Georges Simenon come al solito, anche, e molto, con Fabrizio De André

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“La vedova Couderc” di Georges Simenon, Adelphi Edizioni. I libri di Riccardo

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