I libri di Riccardo

“La casa della moschea” Kader Abdolah: recensione libro

La distanza tra la Persia e l’Iran? …forse la stessa che c’è tra la terra e la luna, o più esattamente tra la terra delle Mille E Una Notte e la faccia in ombra della luna. La difficoltà? …forse la stessa che c’è stata per l’imam Alsaberi nel guardare di nascosto un piccolo televisore, nel distogliere gli occhi da un passato che era il suo presente e volgerli verso il futuro.

Un futuro che incuteva timore, ma era solo la proiezione tridimensionale di un terrore atavico, del tutto innocuo rispetto a quello che attendeva, nell’ombra dei minareti, gli abitanti della casa della moschea, ancora immersi in un islam domestico e poetico, intenti ad annodare tappeti, leggende e aspirazioni personali. Le mani macchiate dal giallo dei pistilli del crocus savivus, non ancora dal rosso del sangue di molti, troppi, innocenti. Un islam moderato, un islam che a molti può risultare poco credibile, eppure esisteva e esiste, e se, per chi è abituato a trinciare il mondo in buoni e cattivi, la sua esistenza può sembrare seccante, se ne faccia una ragione.

Questo romanzo, oltre che ad annodare storia e poesia, mi è servito per capire quanto è vero, specie riferito ad alcune culture, il monito: “Più so, più so di non sapere”. Eppure sapevo che Gesù è una figura di straordinaria importanza anche nel Corano, profeta collocato al quarto posto dopo Muhammad, Mosé, e Abramo, e che esistono diverse moschee a lui dedicate. Conoscevo la storia della Persia, ma ignoravo la complessità di quella dell’Iran, della sua rivoluzione e della guerra con l’Iraq, e senza complessità, in quest’epoca di tragicomiche semplificazioni, si finisce per mettere sullo stesso piano imam e ayatollah, talebani e mujaheddin, tutti quelli che qualche mezzobusto ha gettato nell’indifferenziata dei cattivi.

Né avrei immaginato di trovare una madeleine della mia religione nel mondo musulmano: l’immagine di me bambino che venivo accompagnato dalla nonna alla prima messa del venerdì con la speranza, dopo nove volte, di prenotarmi un posto in paradiso, e che ritrovo rovesciata nelle nonne del romanzo che dovevano spazzare il marciapiede tutti i giorni per vent’anni, all’alba e in gran segreto, per conquistarsi il diritto al pellegrinaggio alla Mecca. Chissà in quale paradiso mi ritroverò mai con tutte queste nonne, e soprattutto che lingua parleremo?

Certo, non vi ho detto molto sulla trama, come mia abitudine, non vi ho detto molto sulla storia di Aga Jan proprietario della moschea e della casa, rispettato e tollerante anima del bazar, ricco commerciate che si era macchiato in vita di una sola colpa, quella di rubare i colori dei suoi tappeti alla perfezione delle piume degli uccelli che nel migrare facevano tappa nel suo giardino. Non vi ho detto molto, convinto che vi basterà leggere l’incipit in calce per farvi salire sul tappeto volante di Abdolah. Vi ho detto poco anche su Kader Abdolah, rifugiato politico iraniano in Olanda, e autore di uno dei più bei libri in lingua olandese secondo i lettori del suo paese d’adozione, da cui la pubblicazione in Italia con Iperborea. Poco anche sugli elementi autobiografici presenti in questo come negli altri sui imperdibili romanzi… ed è un peccato.

“C’era una volta una casa, una casa antica, che si chiamava “la casa della moschea”. Era una grande casa, con trentacinque stanze. Lì, per secoli, famiglie dello stesso sangue avevano vissuto al servizio della moschea. Ogni stanza aveva una funzione e un nome corrispondente a quella funzione, come la stanza della cupola, la stanza dell’oppio, la stanza dei racconti, la stanza dei tappeti, la stanza dei malati, la stanza delle nonne, la biblioteca e la stanza del corvo”.

“La casa della moschea” di Kader Abdolah, edizioni Iperborea. I libri di Riccardo

Riccardo Gavioso

Nasce a Torino nel 1959, dove si laurea in Giurisprudenza. Ma ormai incerto su chi fossero i buoni e i cattivi, e pur ritenendo il baratto una forma di scambio decisamente più evoluta del commercio, da allora è costretto a occuparsi di quest’ultimo. Inevitabile, quindi, che l’alienazione professionale lo spinga tra le braccia di una penna e che la relazione, pur tra alti e bassi, si protragga per diversi anni. Poi, deluso in egual misura da quel che si pubblica e da quel che non si pubblica, smette di scrivere narrativa e si occupa di giornalismo collaborando con diverse testate di rilievo e creando un blog che arriva a incuriosire diecimila lettori al giorno. Torna alla narrativa con Arpeggio Libero con cui pubblica attualmente. Ha ottenuto diversi riconoscimenti per i suoi racconti. Nel 1997 è stato finalista al Premio Internazionale di Narrativa “ Il Prione ”.

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