Quando un Premio Nobel ci racconta la favola della buonanotte, possiamo ritrovare la fascinazione del bambino rapito dalla magia vocale della parola. Sì, perché quest’ultima fatica di Ishiguro è certamente una favola, ma una favola che non ha come finalità il sonno, semmai quella di risvegliare coscienze sopite e riprendere alcuni dei temi che erano stati il perno narrativo di “Non lasciarmi”.
Klara e il sole di Kazuo Ishiguro
Un romanzo che rivendica con prepotenza il ruolo totemico della natura e stigmatizza i comportamenti che lo mettono in pericolo. Ma, anche e soprattutto, un romanzo che ci parla d’identità personale, unicità immateriale destinata a essere mutata, non dalla scienza, ma dai rapporti umani, perché noi siamo un “noi”, non un “io” non un “tu”, noi siamo un “io” sublimato da quei “tu” che riescono a introdursi in noi. Perché la natura dell’uomo è ibrida, mentre la stupidità di chi nega il suo mistero è monolitica.
Ishiguro non è certamente il primo a utilizzare gli androidi per parlarci di noi, della nostra umanità, per calarci in un mondo alienato e alienate come quelli di Dick, in un mondo temo ormai non poi così diverso dal nostro, ma lo fa con una perfezione stilistica che sembra fare di lui una macchina risolutiva, un po’ come un “deus ex” di antichissima memoria, non una macchina cui porre una domanda, magari destinata a restituirci un insulso 42, ma destinata a porci una domanda: è proprio questo il mondo che vogliamo?
In voi c’è ancora posto per una favola?
“Klara e il sole” di Kazuo Ishiguro, edizioni Einaudi. I libri di Riccardo