“Il racconto dell’ancella” di Margaret Atwood: recensione libro

E se i Talebani fossimo noi? Questa è la fastidiosa domanda che vi ronzerà nella testa dopo aver letto Il racconto dell’ancella di Margaret Atwood, un classico della Letteratura, fortunatamente per ora, solamente di quella distopica.

Se ci soffermeremo sulla data di edizione, saremo tentati di attribuire a Margaret Atwood le stesse doti di divinazione che abbiamo riconosciuto a George Orwell, perché, mentre noi abbiamo avuto modo di conoscere la vita, e soprattutto la morte, nei territori che hanno formato lo stato islamico, alla nostra Cassandra non dovevano essere ancora noti al tempo della stesura del romanzo.

Certo, se sembra incubo destinato a restare tale il fatto che una folle teocrazia d’ispirazione cristiana possa impossessarsi del potere nella più potente, e sedicente, democrazia del mondo, pochi dubbi possiamo nutrire sul fatto che se dovesse accadere, le donne indosserebbero le tragiche maschere create dalla Atwood, per rinverdire i fasti dell’Inquisizione e dei processi per stregoneria.

Fascino e terrore

Così trasportati in un tragico Sabba di Ancelle, Marte, Zie, Custodi, Occhi, Mogli e Comandanti, non ci resterà che subire fascino e terrore di questa Danse Macabre, dove alle donne non è riservata miglior sorte di quelle islamiche col burqa, e al libro quello di essere bandito da alcune scuole… americane, non islamiche, si noti bene.

Lo stile è perfetto e sofisticato, veste con precisione sartoriale la narrazione, e pare destinato a un lettore smaliziato e avvezzo alle pagine affilate come bisturi. Pagine che si fisseranno nella mente, pronte a suonare il campanello d’allarme contro i prodromi dei fanatismi di qualsivoglia ispirazione.

“Il racconto dell’ancella” di Margaret Atwood, edizioni Ponte alle grazie. I libri di Riccardo

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