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“Chesil Beach” di Ian McEwan: recensione libro

Avolte ho l’impressione che i grandi scrittori altro non siano che una sorta di bidelli che si aggirano svogliati, armati di paletta e scopino, nei corridoi di un enorme edificio scolastico che ospita le nostre esistenze. Ho l’impressione che talora si fermino a scrutare i pavimenti in cerca di vetri e, dopo un attimo di esitazione e una scrollata di spalle, li raccolgano con una certa delicatezza, una malcelata amarezza, un muto rimprovero, pur sapendo che altro non sono che inutili frammenti destinati al pattume del tempo.

Chesil Beach di Ian McEwan

chesil beach ian mcewanIan McEwan è, appunto, un grande scrittore: padroneggia uno stile pressoché perfetto, lo cuce con abilità sartoriale addosso a ciascuno dei suoi romanzi, e mantiene una spontaneità che lo mette al riparo dal rischio di crogiolarsi nell’autocompiacimento. In questo romanzo, Ian è Edward ed è Florence, è la loro giovinezza e i loro sogni, è la loro incomunicabilità, è il loro essere prigionieri di un tempo e di un’educazione al tramonto, è il loro essere lasciati indietro dal mutamento, è la scintilla che innesca l’esplosione destinata a dilatarsi in quell’universo che è la loro vita. Ian è tutto questo, e forse è anche di più, forse anche Chesil Beach, quella infinita serie di ciottoli, selezionati e ordinati dal mare, riuniti e separati dalle tempeste, che lui trasforma in metafora.

Perché la vita è così, e ci sono treni destinati ad essere perduti appena si sistemano i bagagli e ci si accomoda, con un sorriso educato e affaticato, nel proprio scompartimento. Perché la vita è così, ed è destinata a essere catturata solo da scrittori dotati di profondità psicologiche che ai comuni mortali sono precluse. Perché la vita ha i suoi spazi e i suoi tempi, e se possono bastare meno di duecento pagine per narrarla, sarebbe una mancanza di garbo dilungarsi troppo nella loro recensione.

“Chesil Beach” di Ian McEwan, edizioni Einaudi. I libri di Riccardo

Riccardo Gavioso

Nasce a Torino nel 1959, dove si laurea in Giurisprudenza. Ma ormai incerto su chi fossero i buoni e i cattivi, e pur ritenendo il baratto una forma di scambio decisamente più evoluta del commercio, da allora è costretto a occuparsi di quest’ultimo. Inevitabile, quindi, che l’alienazione professionale lo spinga tra le braccia di una penna e che la relazione, pur tra alti e bassi, si protragga per diversi anni. Poi, deluso in egual misura da quel che si pubblica e da quel che non si pubblica, smette di scrivere narrativa e si occupa di giornalismo collaborando con diverse testate di rilievo e creando un blog che arriva a incuriosire diecimila lettori al giorno. Torna alla narrativa con Arpeggio Libero con cui pubblica attualmente. Ha ottenuto diversi riconoscimenti per i suoi racconti. Nel 1997 è stato finalista al Premio Internazionale di Narrativa “ Il Prione ”.

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