“Mrs Richardson conduceva da sempre un’esistenza ordinaria e disciplinata. Si pesava una volta alla settimana, e anche se oscillava sempre entro il chilo e mezzo che il suo medico aveva definito normale, si dava da fare per tenersi in forma. Ogni mattina misurava esattamente mezza tazza di Cheerios, la porzione suggerita sulla confezione, usando il misurino di plastica a fiori che aveva comprato da Higbee’s poco dopo le nozze. Ogni sera a cena si concedeva un solo bicchiere di vino – rosso, che secondo i telegiornali era più salutare per il cuore – e una tacca sottile sul calice indicava la quantità giusta da versare. Tre volte alla settimana seguiva un corso di aerobica, controllando tutto il tempo l’orologio per essere sicura che le pulsazioni superassero i centoventi battiti al minuto. Da piccola le avevano insegnato a rispettare le regole, a credere che il buon funzionamento del mondo dipendesse dalla loro osservanza, e lei le rispettava – e lo credeva. Fin da ragazza aveva elaborato un piano e vi si era attenuta in modo scrupoloso: liceo, college, fidanzamento, matrimonio, lavoro, mutuo, figli. Una berlina con gli airbag e le cinture automatiche. Un tosaerba e uno spazzaneve. Lavatrice e asciugatrice combinate. In breve, aveva fatto tutto per bene e si era costruita una buona vita, il genere di vita che voleva, Il genere di vita che tutti volevano. E adesso c’era questa Mia, un tipo di donna totalmente diverso che viveva una vita totalmente diversa e che sembrava dettare le proprie regole senza tante scuse. Per Mrs Richardson era sconvolgente ma stranamente affascinante,…”
“Cosa pensi di fare?” Nessuno le aveva mai posto una domanda del genere. Fino a quel momento la sua vita era stata governata da un furore muto e sterile. La prima settimana di scuola, dopo avere letto T.S. Eliot, aveva appeso cartelli a tutte le bacheche: Ho misurato la mia vita con cucchiaini da caffè, Avrò il coraggio di mangiare una pesca? e OSERÒ TURBARE L’UNIVERSO? Quella poesia le faceva pensare a sua madre, che si versava un cucchiaino preciso di latte liofilizzato, che blaterava di pesticidi se Izzy addentava una mela senza lavarla, che imponeva severe restrizioni a ogni sua mossa – e la faceva pensare anche ai suoi fratelli maggiori, a Lexie e Trip e quelli come loro, che per Izzy erano tutti uguali, preoccupati solo di indossare le cose giuste, di dire le cose giuste, di essere amici delle persone giuste.
Tanti piccoli fuochi: apparenze e ipocrisie
Shaker Heights, Cleveland, Ohio. La cittadina, fondata nel 1912 da un gruppo di Shaker – Calvinisti puritani giunti in America come “profeti” già dal lontano 1774 – è ora abitata da una maggioranza di benintenzionati, democratici e abbienti che vivono seguendo drastiche regole di comportamento che condizionano ogni aspetto delle loro vite, dal colore dei muri, alla collocazione più idonea per la scuola, alla migliore gestione familiare. Ma ad un certo punto, tutta questa apparenza, tutto questo perbenismo, tutta questa ipocrisia verranno scosse dall’arrivo in città di personaggi talmente diversi da loro e dalla loro “normalità” e si scateneranno avvenimenti così fuori dalla loro portata, da sconvolgere per sempre le loro vite così apparentemente ordinate e perfette.
Continuava a pensare al sorriso di Mia quel giorno in cucina, nel quale aveva colto una gioiosa propensione a combinare guai, a infrangere le regole. Sua madre sarebbe inorridita. In lei aveva riconosciuto uno spirito affine, una scintilla sovversiva simile a quella che spesso sentiva ardere dentro di sé.
“Per tutta la vita le avevano insegnato che la passione era pericolosa come il fuoco. Bastava pochissimo per perderne il controllo”.
“Tanti piccoli fuochi” di Celeste NG, Edizioni Bollati Boringhieri. I libri di Chiara.