“La chiamavano Nocciolina” di Emiliana Erriquez: recensione libro

I rapporti familiari sono difficili. Non basta volersi bene, è necessario capirsi. Arriva poi un momento in cui si scivola in una zona cieca. Si perde la visione del dopo e anche il futuro è faticoso. Se di base c’è pure la rigidità comportamentale, dovuta da un’educazione ferrea, uscire dalle regole sancite dal capofamiglia, almeno per le famiglie di vecchio stampo e patriarcali, è tanto brioso quanto incerto.

L’intraprendenza, la vivacità, l’ambizione, il riscatto, fanno di quei figli l’ancora su cui creare le fondamenta di vita. La famiglia è il luogo del cuore, la casa quello della mente. Non si può essere gli stessi quando passano le ore, le esperienze, in cui si intrecciano cose inaspettate, improvvise. A volte, la devozione per i propri figli è talmente intensa che suggerisce qualcosa di più dell’affetto, dell’amore, quasi un’esclusone verso gli altri per tenere stretta a sé la figliolanza. I gelidi gesti di affetto sono compensati dagli sguardi, carichi di tutte le belle parole taciute e che soccombono all’urgenza di una lingua fatta di praticità e poco incline ai sentimentalismi. Ci sono famiglie introverse che non sono abituate all’affetto dei gesti, che non allargano le braccia per avvolgere i propri bambini, ragazzi, l’amore lo dimostrano con i fatti, con le regole. Basta una occhiata per intendersi, per capirsi, per volersi bene. Poi, ciò che non si è ricevuto lo si darà dopo, sulla propria pelle, con il proprio sangue, con i propri figli.

In La chiamavano Nocciolina di Emiliana Erriquez fai parte di una famiglia numerosa. Elena, la protagonista, per tutti è Nocciolina. Vive a Foggia, nata dopo la seconda guerra mondiale, conoscerà le difficoltà che il conflitto ha provocato. È costretta a lasciare la scuola. È intelligente, Elena. Ha anche molto senso pratico e riconosce all’istante i caratteri della gente, una sorta di sintesi dei comportamenti che la porta a lasciare fuori il superfluo per prenderne l’essenza. Lei sarà una donna forte, indipendente, un punto di riferimento non solo per la sua famiglia anche per i pazienti della clinica psichiatrica dove lavorerà.

Il romanzo è intimistico, bello. Ha la forza della genuinità di sentimenti, di vita pratica, che il lettore diventa egli stesso una parte del racconto, quella parte che più sente vicina. La narrazione è fluida. La scrittura è a due voci che si alternano, quella della protagonista e quella di sua figlia. Uno scambio di pezzi di vita sufficienti per amare il libro.  

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“La chiamavano Nocciolina” di Emiliana Erriquez, edizioni Les Flaneurs. Dream Book.

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