La volontà, quella caparbia, è una dote esposta alle diverse facciate del rischio. Come lo si affronta, prendendolo nel verso giusto o sbagliato che sia, richiede intraprendenza. Se si ha volontà nell’intraprendere qualcosa di nuovo, di diverso, di importante, allora vale la pena anche impantanarsi con i sacrifici.
In Il filo di luce di Valeria Montaldi sei le diverse vite di una stessa donna in un tempo in cui essere sole, e peggio orfane, era una dannata catastrofe, un vero pericolo oltre che a un guaio. È il 1435. Nel Ducato di Milano, in una stanza fetida del carcere di Malastalla nasce una bambina. Il suo nome è Margherita e come il fiore, lei ha una forza indomabile. Resiste a tutto ed incamera coraggio, che non sa neanche di avere, sino a quando si lascia andare alla propria forza affidandosi a se stessa. Non si volta indietro, il suo ieri è fatto di soprusi e di violenze. Il presente le riserva disprezzo da parte di molte donne, soprattutto delle lavoranti di una manifattura di seta dove trova occupazione. Contate sono, invece, le altre che l’aiutano perché in lei non vedono una reietta della società. Ha un passato scomodo, sconcio, Margherita. Ha anche grandi capacità nella lavorazione della seta che la fanno diventare padrona della propria vita. E non solo.
Il romanzo è stupendo. Racconto e scrittura sono incantevoli. La profondità della penna della Montaldi lascia senza parole. Ogni commento del lettore sarebbe superfluo dinanzi alla bellezza di un romanzo storico pregno di fili da ricordare, di passaggi da annotare, di concetti talmente attuali che ti senti in colpa per essere arrivato alla fine della lettura. Il libro arriva a toccarti i pensieri, aggiungendone altri, su tutti soffia vento di benevolenza.
“Il filo di luce” di Valeria Montaldi, edizioni Rizzoli. Dream Book.