“Dove non mi hai portata” di Maria Grazia Calandrone: recensione libro

Dopo Splendi come vita (Ponte alle Grazie, 2021), entrato nella dozzina del Premio Strega in cui Maria Grazia Calandrone esplora il rapporto con la madre adottiva, in Dove non mi hai portata, edito da Giulio Einaudi, l’autrice torna a parlare della figura della madre.

Tasselli che si uniscono come a comporre un puzzle, istantanee e fila che vanno a comporre il racconto di un’esistenza spezzata: quella di Lucia, la madre biologica dell’autrice che, mediante le ricerche di sua figlia, rivive la sua giovinezza infranta.

Una narrazione di fatti ed eventi condita da minuziosi elementi descrittivi che ci catapultano nel privato di una donna che ha pagato caro il prezzo delle sue scelte. Maria Grazia Calandrone nella sua prosa è lucida, ci offre particolari dettagliati, elementi esplicativi e ci permette di frugare nel passato della donna che l’ha messa al mondo e che decidendo di andarsene ha segnato in maniera indelebile la sua vita.

Basato su fatti tragici di cronaca realmente accaduti, “Dove non mi hai portata” è un libro imperdibile, emozionante e struggente capace di far risplendere luce dove per troppo tempo vi sono state tenebre. 

Dalla lettera spedita a l’Unità, al gesto estremo dei genitori dell’autrice, tutto grida salvezza e giustizia per le esistenze delle persone coinvolte in questa vicenda surreale che Maria Grazia Calandrone ci ha regalato, permettendoci di sentirla anche nostra.

“A oggi, non esistono modi migliori, per fermare il tempo della nostra vita, se non morire. Non esistono modi per fermare il dolore del tempo se non il dolore definitivo di andarsene dal tempo, abbandonare i corpi degli altri al loro destino di stare immersi nel tempo. Anche il corpo di una figlia. Abbandonare il corpo di una figlia dentro il tempo e andarsene dal tempo. Un disarmo totale.”

“Dove non mi hai portata” di Maria Grazia Calandrone, Giulio Einaudi editore. Ci salverà la bellezza. 

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