Alan Poloni si definisce (oddio, DEFINISCE) “insegnante redento”. Peccato, perché dev’esser bello nella vita incontrare insegnanti così. Ma siccome ora la redenzione l’ha portato a diventare il libraio in un piccolo rifugio in provincia della letteratura che resiste (sì, che RESISTE), va meglio a me che dalle scuole di ogni ordine e grado ci sono uscita da un pezzo. Dalle librerie, invece, no.
Libraio, dicevamo, ma anche scrittore. Alla sua seconda prova sugli scaffali, Alan Poloni ha scritto per la collana Scafiblù della Miraggi Edizioni di Torino il suo “L’uomo che rovinava i sabati”. Tre uomini, un po’ relitti e un po’ sopravvissuti, ognuno con il proprio fardello di difficoltà umane da trascinarsi dietro, appresso, dentro, andranno alla ricerca di un misterioso etnologo esperto in funghi allucinogeni che vive in cima a una montagna. Come sapete se già avete letto altre mie recensioni, lo spoiler sulla trama finisce qui.
Il bello scrivere
Quel che mi preme raccomandarvi, invece, è l’uso della lingua che si fa in questo romanzo. Finalmente, ti par di leggere di uno che ne sa. Da ex letterata, prima di ogni cosa apprezzo il bello scrivere. Sempre prima la forma, per me. E qui c’è ciccia ai miei occhi. I periodi sono lunghi ma ben costruiti, Poloni sembra (sembra?) padroneggiare il pensiero dall’inizio alla fine e non ti lascia perdere in mezzo ai tuoi prima di aver concluso il suo. Non scorre pagina senza che il testo non venga impreziosito da qualche citazione più o meno esplicita (che pure io non apprezzo sempre, in generale, perché mica tutte riesco a coglierle…), ma che qui contribuiscono a creare quella cortina allucinogena necessaria attraverso cui leggere la storia. Ogni parola è scelta con cura, ricercata quel tanto che basta a non stancare il lettore che abbraccia il tomo sul far della notte, ma utile a farlo sentire piacevolmente soddisfatto per aver investito il proprio nichelino su un autore sconosciuto invece che sull’ennesimo futuro-declamato-sicuramente lodevole-un pochino sovrastimato Premio Strega.
Un piccolo assaggio:
“(…) La terza fila era di quelli che ascoltano poco e commentano tanto, quasi ad alta voce, bovari che sghignazzano dandosi di gomito, malcelando la famelica attenzione ai panini del rinfresco, sguardi bramosi che col passare dei minuti, la sedia ormai ruotata di 180 gradi, si trasformano in autentiche occhiate d’assedio, sul volto l’evidente rammarico per aver lasciato trabucco e mangano nel parcheggio. La quarta era degli irregolari cronici: pensionati che vivono in uno stravagante mondo sospeso tra Almodóvar e l’oratorio, web-nerd dalla recensione facile (con cui espettorano ettolitri di frustrazione), massaie nabokoviane che collezionano gruppi di lettura, malati psichici di varia anamnesi, scrittori non pubblicati, lettori di Gianni Celati, insegnanti di matematica devastate da Lacan, collezionisti di cimeli della Grande Guerra, volontari che nel pedibus intravedono i prodromi di una rivoluzione sociale, insomma: un bailamme di aspirazione bruciacchiata e infelicità combustibile che fa della lettura la principale fonte di alienazione. La quinta fila, con l’eccezione di due ragazze dagli occhiali spessi e i polpacci da cronoscalata, era pneumaticamente vuota”.
Miraggi Edizioni è una casa editrice nata nel 2010 nel cuore di Torino. Da subito la sua produzione si è contraddistinta tanto per lo stile, curato e riconoscibilissimo fin dalle copertine, che per la scelta di pubblicare libri perseguendo anche le strade meno battute. Scafiblù è dedicata agli autori italiani che portano messaggi disobbedienti sia nello stile che nei contenuti.
“L’uomo che rovinava i sabati” di Alan Poloni per Miraggi Edizioni. Audio&Indie