“Ciò che resta delle tenebre” è il romanzo d’esordio di Claudia D’Auria, scrittrice per niente improvvisata, e si vede. Edito da Spirito Libero Edizioni, questo testo ci mostra la profonda conoscenza della mitologia norrena che l’autrice possiede e ci regala senza parsimonia.
In questa sorta di retelling di un antico mito, i pochi versi originali che lo costituiscono si vestono di trecentosettantasei pagine. Questa storia mi ha fatto pensare ad altre opere conosciute in passato, tra la favola di Amore e Psiche di Apuleio e la fiaba scandinava A est del sole e a ovest della luna. Costantemente ammantato da un velo erotico mai inelegante, questo romanzo ci narra eventi che si dipanano mentre ingombranti pregressi ci vengono svelati poco alla volta.
C’era una volta…
“C’era una volta, la figlia di uno jarl…” direbbe forse la D’Auria, per dare principio a questa sinossi. La figlia di questo jarl, nello specifico, si chiama Sigyn. Data in sposa a un orribile e ignoto mostro, la bellissima fanciulla s’innamorerà presto di lui, perennemente nascosto alla sua vista. Disobbedendo alla regola di restare all’oscuro dell’identità del marito, Sigyn verrà condannata a perderlo per sempre ed essere da lui dimenticata. Qui comincia l’avventura per contrastare questa maledizione e rinnegare una punizione tanto insopportabile.
Il dubbio, o forse due
Amo il fantasy e non sono un fan del romance né dell’erotico. Va da sé, quindi, che questa lettura mi sia risultata per alcuni versi ostica. Ho percepito alcuni personaggi come estetizzati, patinati, presentati con una serie di aggettivi spesso ridondanti. Sembrava sfiducia sulla capacità, da parte di chi legge, di ricordare mani, sorriso, o timbro vocale dei protagonisti. Ma il dubbio più resistente per me riguarda il panorama degli stereotipi di genere. Il femminista in me si è morso la lingua in più occasioni. In Ciò che resta delle tenebre il protagonista maschile è sempre desiderabile su qualsiasi fronte. Alle donne non rimane che contenderselo. Non importa quanto potere abbiano tra la loro gente, quante abilità acquisiscano nel tempo, né quanto incredibili e stremanti siano le prove che superano. La loro unica ragione di vita risiede nel favore dell’uomo. L’idolo dell’adorazione femminile, che scaturisca da interessi politici o immenso amore, resta sempre lui. Lui, immerso in più relazioni contemporaneamente, magnanimo, protegge la più vulnerabile – bruciante di gelosia per pagine e pagine – dalla più pericolosa – altrettanto prolissamente esplicata.
Quando si scrive bene, però…
Il romanzo è scritto con sapienza e il lessico (eccezion fatta per la ripetitività di alcune descrizioni) è vario quanto ricercato, senza mai scadere nel pretenzioso. Veniamo infatti accompagnati nella storia da una narrazione fluida e cristallina. La voce di Claudia D’Auria ci permette di saltare tra eventi presenti e passati senza mai perdere le coordinate. Evitandovi anticipazioni, vi dico che il destino dei personaggi incontrati sul finire di questo viaggio, incuriosisce chi legge, accendendo la speranza che l’autrice ce ne narri ancora in un nuovo romanzo.
Due ultime parole
Per concludere quella che è più che altro una recensione in cerca di aiuto, chiederei l’opinione di altre persone, magari lettori e lettrici di questo genere. Mi piacerebbe sapere se mi sono perso qualcosa, se il dissenso per le priorità dei personaggi femminili – a dispetto della stima che si nutre per loro lungo la lettura – sia un sentimento suscitato volutamente. In questo caso l’opera sarebbe ben più emancipata di quanto l’ho vissuta io. Di sicuro è ben scritta e per chi volesse immergersi nella mitologia norrena, troverà certamente una lettura chiara e interessante.
Utilizziamo i cookie per essere sicuri che tu possa avere la migliore esperienza sul nostro sito. Se continui ad utilizzare questo sito noi assumiamo che tu ne sia felice.OkPrivacy & Cookie Policy