È tra l’ariosità riflessiva della pampa, vasta e sconfinata, e la perizia, la puntualità del gesto che traccia ideogrammi col pennello imbevuto d’inchiostro che può ritenersi sospesa la scrittura, ricca di similitudini, racchiusa nelle pagine di “Anche gli alberi caduti sono il bosco”, raccolta di racconti di Alejandra Kamiya, scrittrice nippo-argentina per la prima volta pubblicata in Italia da Ventanas edizioni grazie alla traduzione di Serena Bianchi.
“Anche gli alberi caduti sono il bosco” di Alejandra Kamiya è una raccolta di racconti di storie di vita quotidiana di persone che sono in cerca dell’«incastro giusto»
Le storie che l’autrice racconta sono quelle di persone colte nella loro quotidianità. Ma a stupire di più non è tanto che sia questo l’oggetto dei suoi racconti, quanto il fatto che queste vite, esperenti assenze, separazioni o morti, mostrano tutto il loro disagio, la loro insofferenza, o anche solo il loro straniamento rispetto a esistenze che, intorno a loro, sembrano procedere tutto sommato secondo il ritmo appropriato, come ingranaggi di un dispositivo meccanico collocati nel posto giusto. Così, le protagoniste – sono più spesso donne – di questi racconti sono tormentate, costrette nelle maglie di convenzioni sociali (più o meno introiettate) o imposizioni provenienti dall’esterno che portano loro a sacrificare il proprio sé, la propria libertà o ancora la possibilità di esprimersi compiutamente – «mia madre aveva rinunciato a ogni altro modo di esistere», scriverà Kamiya in “I nomi” –, mentre sono tutte intente a ricercare l’«incastro giusto», quel compromesso, talvolta non raggiungibile, che possa farle sentire adatte alla realtà in cui vivono.
Un tema comune che emerge dall’opera di Kamiya è la diversità
Queste donne sono come gli alberi caduti di un bosco: di fronte alla sua verticalità, essi possono essere percepiti come “fuori posto”, “diversi”, ma non si deve dimenticare che, «seppur fatti di piante diverse, tutti i boschi sono lo stesso bosco», e in esso trovano accoglienza anche gli «alberi caduti»; ecco uno tra i temi principali dei testi di Kamiya, a mio avviso: la diversità che si dà sotto varie fogge.
Parlando di quella culturale, nel racconto “Parto”, che definirei ampiamente autobiografico, l’autrice arriva ad affermare: «Adottai quel luogo che è la diversità. Un luogo dovevo pur adottarlo: il Paese in cui vivevo mi considerava straniera e andare nell’altro non mi passava neanche per la testa. Ci andai vent’anni dopo. E fui straniera anche là. Mi fece male come un colpo su una ferita».
I racconti “sinestesici” di Kamiya ci mostrano però che la diversità è parte di qualcosa di comune, poiché “anche gli alberi caduti sono il bosco”
Queste diversità sono tuttavia mostrate non tanto per tracciare confini di esclusione quanto per romperli, questi confini, così da affermare un’inclusione per nulla scontata, per dire cioè, alla fine, che si è tutti, nella propria diversità, parte della stessa cosa. Ma a questa cognizione ci si arriva attraverso nuove prospettive generate dai racconti “sinestesici” di “Anche gli alberi caduti sono il bosco”.
In “Anche gli alberi caduti sono il bosco”, Alejandra Kamiya realizza il tentativo di mostrare «ciò che le persone volevano tenere nascosto»
In “Il buio è una perturbazione” si può leggere: «col tempo e senza accorgermene ho capito che a volte cercavo di mostrare ciò che le persone volevano tenere nascosto». Ora, immergendosi in questi racconti si rimane ammaliati dalla capacità della scrittura di Alejandra Kamiya nel raccontare quei «segreti [che] tengono dentro la gente, proteggendola o rendendola prigioniera», facendone altresì emergere l’afflizione che si portano talvolta dietro. La sua è una scrittura che ha dunque la forza di quei drammatici cortometraggi finiti di guardare i quali il volto si scopre inaspettatamente rigato dalle lacrime per aver saputo cogliere, nello spazio di un breve lasso di tempo, l’essenza di quelle vite spezzate, cadute, tanto diverse ma con le quali pure, senza difficoltà, siamo riusciti a immedesimarci, avendoci fatto ricordare che anche gli alberi caduti sono il bosco, che anche noi possiamo essere loro.
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“Anche gli alberi caduti sono il bosco” di Alejandra Kamiya, edizioni Ventanas Edizioni. A voice from apart.