Roald Dahl: le parole, come i libri, sono libere

Le parole hanno significato e potere. Sono chiare anche quando si usano per dire quello che si intende nascondere. A loro non si sfugge. Possono ingannare con i trucchi della melensa menzogna, ma hanno sempre un peso. Le parole sono corpi che vanno e vengono. Passano di bocca in bocca per finire poi nel silenzio quando si fanno insapori, scialbe, piatte. Le parole mettono finanche paura. Vogliono farsi sentire anche nella loro crudeltà, sovrapponendosi a quella bellezza che molti cercano nel metterle insieme, accanto, una dopo l’altra. Le parole restano, nella memoria e nella scrittura. Si riconoscono come sospiri e sollievi. Le parole sono rifugio e ferite, ma servono. Cancellarle, eliminarle, obliterarle, significherebbe costituire un paradosso che marcherebbe proprio quegli aspetti che nel linguaggio paiono ad alcuni inappropriati, soprattutto quando ci si riferisce alle nuove generazioni. 

Fa discutere la scelta della casa editrice britannica Puffin Books che avrebbe cancellato alcune parole dai libri del noto autore per ragazzi, Roald Dahl. “Grasso”, “brutto”, “pazzo”, avrebbero subito una revisione. Termini sostituiti con altri più addolciti, che non potessero andare a ledere la forma mentis dei giovanissimi.

I libri e le parole sono necessari. Le parole stringenti, dirette, non possono indebolire o deviare la formazione dei ragazzi. Esse esistono e vanno scritte, capite e usate, per quello che sono. Devono accogliere e sviluppare il senso critico del lettore. Ritoccarle significherebbe vergognarsi di uno stile linguistico che ha sempre parlato di noi. Le parole cancellate non sono spurie, hanno un loro senso e peso. Si mettono al rogo perché scomode. Si dice che potrebbero portare i giovani al cattivo esempio perché considerate discriminatorie. Ognuno ne riconosce, invece, il valore, il significato e le interazioni per le quali vengono usate. Censurare termini scomodi è già un fallimento. Non sono le parole ad abbruttire i concetti, ma la volontà quando si usano fuori dalle righe per colpire, volutamente, qualcuno. 

La cultura dei libri, l’educazione alla lettura, invece, consentono di abituarsi alle parole, al loro significato, al di là dei contesti specifici all’interno dei quali compaiono: perché le parole sono movimento continuo, entrano ed escono dal linguaggio comune di tutti i giorni, senza filtri, ostacoli, indicazioni. Leggere, approfondire, capire, interpretare: atti necessari per comprendere la complessità e apprezzarne le sfumature.

Snaturare le parole in rilettura o riscrittura, perché suoni esattamente quello che si vorrebbe, è come presentare un linguaggio sdentato, biascicato. Una lingua fantasma che rinnega quella originale, che però non ha inteso offendere nessuno né essere discriminatoria. Le parole, come i libri, sono libere. E per questo ancora più scomode. Sta allo sguardo e alla dignità di ognuno farne, poi, il senso e il significato che si intende dare nella loro specificità: lettere che formano parola, linguaggio, vita, storia e senso di appartenenza, di passato, rinnegando il quale non appariamo medici delle moderne ferite, bensì malati immaginari. 

Editoriali

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