A voice from apart

“Senza ritorno” di Carmen Yáñez: recensione libro

La raccolta di poesie “Senza ritorno” della poetessa cilena Carmen Yáñez, che nel 1975 finì nelle mani della polizia politica di Pinochet e scampò fortunatamente “all’inferno di Villa Grimaldi”, centro di tortura e detenzione usato dalla polizia segreta cilena durante la dittatura di Pinochet, e che visse poi in clandestinità fino al 1981 quando, grazie all’ONU, si rifugiò in esilio in Svezia,  è un ventaglio che apre a una serie di tematiche che le sono care: la memoria (che è anche cronaca), il dolore, l’amore, la morte, l’esilio, la perdita e la propria terra, la propria casa.

In “Senza ritorno” forte è il tema della memoria sferzata dal dolore che si fa cronaca

Carmen Yáñez nello scrivere versi traccia pennellate, nel comporre poesie ci fa dono di quadri: quelli della sua memoria. Una memoria che è sferzata dal dolore di un passato così tragico e che non può non riportare ai volti, ai tratti caratteristici, alle abitudini di quelle persone che la Yáñez conosceva e che sono scomparse, quelle della cui esistenza negli ultimi periodi della loro vita, prigionieri di uno stato dittatoriale, non si sa nulla: i desaparecidos. Ad esempio, nella poesia intitolata “Reinalda del Carmen Pereira”, una dei tanti desaparecidos, mi è parso che la Yáñez le dia voce, e in quell’oscillare tra il “Tu non puoi capire” e il “Te lo dico io” si dipana una verità subìta e incontrovertibile: “Ci hanno ammazzato, semplicemente, nelle ore / impossibili da ammazzare, ci hanno ammazzato senza pensare”. E in un’altra poesia, dal titolo “Farfalle eteree”, si ricava ancora quella memoria imbrigliata dal dolore e dalla perdita di amiche scomparse, quella memoria che resiste ai suggerimenti di chi dice alla poetessa di lasciar andare ricordi così dolorosi (“Mi dicono che è ormai ora di dimenticarti, / che di questo passo esaurirò le lacrime”), perché, per quanto dolorosi siano, sono l’unico modo per tenere vivo il loro ricordo. Così, nel ricordo delle singole esistenze, si ricordano tutti coloro che scomparvero, da lei conosciuti o meno che fossero, “farfalle” esili sotto le mani degli ‘sbirri’, ma forti nella memoria che di loro non può sfollarsi. E mentre immagini di vite spezzate mi passavano davanti, io piangevo.

Anche il tema dell’esilio dalla propria terra, dalla propria casa trova accoglienza in questa raccolta di poesie

E poi c’è l’esilio da quella terra che “non sa di avere limiti”, perché questi sono solo “immaginarie / linee che gli uomini inventarono / per la guerra”, come scrive in “Frontiere di paglia”, che la costringe ad abbandonare di fretta la propria casa, i propri cari e un amore (Luis Sepúlveda) che solo più tardi incontrerà e di cui diventerà moglie. Un esilio che è nostalgia, non tanto perché non è più cittadina del Cile, ma perché l’esilio vissuto dalla Yáñez l’ha privata del contatto umano delle persone a lei più care (“In un sospiro è morto il mio paese”, scrive la poetessa in “Ma il mio paese segreto è morto, Mario”), dei colori e degli odori della sua terra che rimangono in lei come meri fantasmi e che non può più esperire: tutto ciò, cioè, che rende un luogo ‘casa’.

La poesia di Carmen Yáñez è una voce dalla molteplice espressività: una voce che si fa voce per tutti

Carmen Yáñez
(Fonte: www.laboratoripoesia.it)

La sua poesia, dunque; la sua poesia è un modo per ricordare, condannare, per dare espressione ai “moscerini” che affollano la sua mente e vi turbinano vorticosamente come veri moscerini intorno alle luci nelle sere d’estate, per dare parola a chi parola non può averla più perché è solo un ricordo a cui si pensa con amara nostalgia, ma la poesia di Carmen Yáñez è anche un modo per prospettare un futuro migliore che allontani guerra e violenza; la sua poesia è un modo per dar voce, in definitiva, al proprio intimo fatto di chiari e scuri, di amore e dolore, di calore e di freddo, del ristoro e del tepore di ciò che ha il sapore della familiarità ancora intatta nella memoria e del buiore e del terrore di mani e atti violenti che hanno falciato l’esistenza di chi vive ancora e di chi non vive più.

È con alcuni versi di Carmen Yáñez tratti da “Mozione” che voglio allora suggerirvi la lettura di “Senza ritorno”

Lasciate che la poesia si spogli da sola

nella solitudine degli occhi degli altri,

scossi dallo stesso tremito

che originò il suo battito.

“Senza ritorno” di Carmen Yáñez, edizioni Guanda Editore. A voice from apart.

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