“Nome e lagrime” di Elio Vittorini: recensione libro

Ci sono autori il cui universo letterario, pur investigato a fondo, rimane sempre sfuggente, enigmatico e per questo suggestivo. Uno di questi autori è certamente Elio Vittorini.

Bompiani ha appena ripubblicato Nome e lagrime, titolo che porta con sé infinite storie. Nato come racconto sulla rivista Corrente di Vita giovanile a Milano, Vittorini lo utilizza due anni dopo come premessa e primo titolo di un romanzo (Firenze, 1941). Fu però espunto nello stesso anno per la seconda edizione Mondadori, che tutti conosciamo con il titolo definitivo di Conversazione in Sicilia. Solo nel 1972, Mondadori riprende tale titolo per pubblicare, postuma, una raccolta di scritti diversi, per lo più racconti. Questa stessa raccolta viene oggi appunto riproposta da Bompiani con una introduzione di Giuseppe Lupo, devoto e profondo esegeta di Vittorini.

Nome e lagrime di Elio Vittorini

Avere tra le mani questo libro, ci consente un’immersione in apnea nel laboratorio vittoriniano. Gli scritti sono tutti dei decenni Trenta e Quaranta del Novecento, ad eccezione della bozza di un romanzo mai compiuto del 1961, Delle cinque circonvallazioni che percorrono la nostra città…

Questi racconti sono una rappresentazione, magari un po’ rapsodica, dei principali nodi della poetica di Vittorini: ci sono tutti i riferimenti della sua produzione, nello stile, nei temi, nei luoghi. Nel racconto del titolo, ad esempio, troviamo subito il tipico andamento dei suoi dialoghi, dove i personaggi esistono solo grazie al pensiero, prima e oltre la descrizione dei contesti.

Un altro emblema della raccolta è Le città del mondo: oltre che per questo racconto, il titolo sarà utilizzato per un progetto di esplorazione dei grandi centri urbani nell’ambito de Il Politecnico, e infine diventerà il titolo del grande romanzo onirico, incompiuto, pubblicato nel 1969.

Altri segni distintivi dell’autore siciliano sono pienamente riconoscibili in questi testi: lo stile asciutto, icastico, straniante, mutuato e rimeditato a partire dagli americani che andava, del resto, traducendo in quegli anni. L’ultimo dei racconti della raccolta Quando cominciò l’inverno – molto bello – ha evidenti suggestioni faulkneriane (ma non solo quello), così come i dialoghi dei capolavori brevi di Hemingway echeggiano spesso.

Molto importanti risultano pure i racconti ispirati al rapporto dello scrittore con il fascismo, rapporto controverso, come sappiamo. C’è il racconto Il mio ottobre fascista, storia di una improbabile e infatti fallita partecipazione di un ragazzino alla marcia su Roma, mirabile esempio dei processi istintivi e direi primordiali di adesione al regime in molti contesti di quell’Italia. Di contro, non mancano le testimonianze della lotta antifascista e delle tragedie della guerra, come nei bellissimi e dolorosi Le schiavitù dell’uomo e Milano come in Spagna Milano come in Cina, vicini e lontani dal suo celebre romanzo resistenziale Uomini e no.

Gli infiniti sguardi di Vittorini sono quindi tutti riconoscibili in questa raccolta molto particolare. Ma proprio perché infiniti, in realtà il libro serve più che altro come bussola, come mappa, perché la ricerca non finisca.

Alla fine, emerge da queste pagine un intellettuale rigoroso, certo, spigoloso anche. Ma quello che notiamo è più che altro una sorta di purezza, forse di ingenuità, caratteristiche tipiche degli sguardi intransigenti.

Per questo amiamo, Vittorini in fondo, per la sua fragilità ben nascosta dietro la foggia del lettore tetragono.

C’è molto della cultura italiana, e della sua trasformazione a cavallo della guerra, in questo libro che è insieme enigmatico e didascalico, compiuto e incompiuto.

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“Nome e lagrime” di Elio Vittorini, edizioni Bompiani. 

Recensione a cura di Luca Alerci.

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