Il 25 novembre è la giornata mondiale contro la violenza sulle donne: in questo articolo troverete cinque libri per capire, ma anche per agire.
[ maneggiare con cura ]Immaginatevi una pianta, quella che volete. Poi immaginatevi quello che non vedete di questa pianta: le radici. Voglio partire da quelle. Non mi interessa pestare rabbiosamente la tastiera sul perché nel giorno in cui si discute la mozione contro la violenza sulle donne i parlamentari in aula erano 8. Voglio scrivere – invece – delle radici. Di quella forza silenziosa che tiene in piedi gli alberi. Partiamo dal basso, dunque, partiamo dalle radici, ché quelle sono più forti di qualsiasi voto.Nei giorni scorsi ho chiesto a cinque amici di indicarmi un titolo per creare uno scaffale virtuale, qua nel Gruppo, sul quale poter trovare libri per capire, per agire. Perché non basta dire “stop alla violenza”, non ce la caviamo con così poco. Bisogna andare alla radice.
Sanarla, quando è possibile.
Curarla, nutrirla.
Dopo, solo dopo, l’albero potrà dare buoni frutti.
Cinque libri contro la violenza sulle donne
Giulietta Isola ha messo sullo scaffale Io sono Una di UNA, traduzione di Marta Barone ADD Editore. “Colpevolizzare la vittima è un modo per nascondersi e autoilludersi. Permette al colpevole di sentirsi in diritto di giudicare, immaginando una qualche giustizia mistica per cui le cose brutte succedono solo alle persone cattive: così ci si sente al sicuro. ”Una, senza essere pedante né ostentare dolore, ci invita a riflettere dati alla mano, sui temi della discriminazione e della violenza, ma soprattutto sulle dinamiche sociali che queste innestano. Perché il silenzio rimane la reazione più comune? E perché questo silenzio, si trasforma in disagio e schizofrenia quando viene faticosamente spezzato? Perché un’esperienza traumatica, confessata o meno, sembra avere come unico esito possibile l’emarginazione? “Dov’è la giustizia?”. Ancora oggi, nonostante l’ampia rete di solidarietà femminile, per le ragazze sessualmente sfruttate non è facile ottenere giustizia. Lettrici e lettori vi consiglio quest’opera formidabile e brutale e se la storia vi chiederà di interrompervi, fate due passi, alzatevi in piedi, respirate profondamente, bevete un bicchiere d’acqua o fumate una sigaretta, una breve pausa sarà utile prima di ributtarvi in una storia di grande impatto che ci riguarda tutti: disegnata sulla carta c’è una sofferenza che fa riflettere e rabbrividire. Una dedica il libro “a tutte le altre ” ed io consiglio a tutti la lettura.
“Io sono Una” di Una, traduzione di Marta Barone, ADD Editore.
Adriana Feliciani ha messo sullo scaffale L’Atlante delle Donne di Joni Seager, traduzione di Florencia Di Stefano-Abichain, ADD Editore. Intanto, l’autrice: geografa, femminista e esperta di politica globale. Consulente delle Nazioni Unite per le politiche ambientali e di genere. Con un lavoro certosino di ricerca e analisi, la Seager racconta il mondo femminile in tutti i suoi aspetti: lavoro, salute, educazione, diseguaglianze, maternità, sessualità, contraccezione, aborto, alfabetizzazione, ricchezza, povertà, potere, diritti, femminismo…e lo fa con estrema cura statistica e scientifica. A chi legge il compito di capire un po’ di più della situazione femminile nel mondo, fuori al nostro giardinetto. Imprescindibile.
“Pagina dopo pagina si scoprono notizie sulle violenze domestiche, sul numero di figli per donna, sull’accesso alla contraccezione, sulla salute femminile, sul mondo del lavoro, sull’istruzione delle ragazze, sull’alfabetizzazione informatica, sulla presenza di donne negli organi di potere… e si incontrano verità sorprendenti come che nel 2018 l’Islanda è stata la prima nazione a rendere illegale il divario retributivo di genere. O che il 40% delle donne sudafricane nella vita subirà una violenza. Che è stato il Ruanda il primo Paese a eleggere un governo a maggioranza femminile. Che, oggi, 520 milioni di donne non sanno leggere”.
“L’Atlante delle donne” di Joni Seager, traduzione di Florencia Di Stefano-Abichain, Add Editore.
Michele d’Apuzzo ha messo sullo scaffale Aparecida di Marta Dillon, traduzione Camilla Cattarulla, Gran vía edizioni. Era il 28 Ottobre del 1976 quando l’avvocata attivista Marta Taboada, madre dell’autrice, veniva sequestrata, torturata, uccisa e sepolta in una fossa comune dai militari cani fedeli della dittatura di Videla divenendo da quel momento una desaparecida fino al settembre del 2010 quando avvenne il ritrovamento e l’identificazione dei resti ossei. Aparecida racconta la storia di questa donna coraggiosa la cui presenza irradiata amore nonostante l’assenza. Marta Dillon dà vita ad un “romanzo” intenso, tra i più significa
tivi dell’anno, quasi impossibile da incasellare, con una scrittura vorticosa ma al tempo stesso composta, raffinata e magnetica dove elementi autobiografici si fondono con tecniche di giornalismo letterario e fiction. Un romanzo tragico, straziante e drammatico ma capace, al tempo stesso di regalare gioia, solenne e struggente in cui l’autrice non cerca mai il rifugio dietro il facile pietismo, privo di retorica ci ricorda l’importanza della memoria di un popolo in cui convergono anche “piccole” storie famigliari. Una lettura indimenticabile e squassante che ti trascina nel buio profondo del dolore con lo scopo di regalarti una carezza fatta di poetici attimi, preludio di quel sentimento senza limiti che chiamiamo Amore.
“Aparecida” di Marta Dillon, traduzione di Camilla Cattarulla, Gran Vía Edizioni.
Stefano Leone ha messo sullo scaffale Cagna di Louise Chenneviere, traduzione di Francesco Leto, Perrone editore. “Ma chi sei tu? E hai il diritto di parlare, tu, a tuo nome? E con quali parole? Che nome daresti alla vergogna, ai rivoli di sangue nelle mutande, e a quello disseccato che non scorre più? E a te, che nome daresti, donna, che altro non sei se non un pezzo di carne?”. Io non ricordo, a memoria, di aver mai letto un libro più disperato, potente, scioccante, vero, dissacrante, disturbante, doloroso, violento di questo. Ho conosciuto moltissime donne, tutte senza nome e molto diverse tra di loro. Donne che non riconoscono più il loro corpo, svuotate dall’interno; donne imbavagliate, zittite dal loro stesso silenzio; donne con corpi come ferite sanguinanti, vive, donne con corpi ormai non più in vita, donne abusate, abbandonate come “una cagna sul ciglio di una strada”, donne che si strapperebbero la pelle per “far affiorare tutta la sporcizia che hanno dentro”, donne che per esistere, anche soltanto per un istante, aggrediscono il loro stesso corpo così diverso da quello che sentono, un corpo straniero. Ed è tutta nostra la colpa. “Donne che aspettano il miracolo ma non credono in Dio”
“Cagna” di Louise Chennevière, traduzione di Francesco Leto, edizioni Perrone.
Laura Busnelli ha messo sullo scaffale Trittico Contemporaneo di Flavia Todisco, Epika Edizioni. Una sceneggiatura ispirata da un fatto di cronaca realmente accaduto: un uomo ha barbaramente ucciso la moglie e i tre figli, poi è andato a giocare a bowling con gli amici. I personaggi sono tre, un trittico: Lui, il marito pluriomicida; Lei, la moglie trucidata insieme ai figli; Noi, la gente, un coro di persone comuni. In uno spazio sospeso tra passato e presente, Lui e Lei ricostruiscono, ognuno dal proprio punto di vista, la loro storia d’amore e il suo tragico epilogo, mentre il coro dell’opinione pubblica dà voce al processo mediatico e popolare, ricco di giudizi stereotipati e a tratti crudeli. Ne risulta una realtà nella quale ogni adulto è chiuso in se stesso, nella propria verità, senza confrontarsi né comunicare con gli altri e i minori – i figli della coppia – sono di fatto mere presenze, impotenti e silenziose. Questo testo scomodo e crudo non risparmia nulla e nessuno, né i personaggi né il pubblico e rappresenta una provocazione: la violenza sulle donne è ormai un dato di fatto, accade e pare inevitabile. È un invito al confronto necessario e urgente per fermare la quotidiana carneficina delle donne, della quale, forse, siamo tutti, almeno in parte, responsabili.