“Moon lake”: l’intervista all’autore Joe Lansdale
Mi chiamo Daniel Russell, e sogno acque nere. È con queste parole che Moon Lake, il nuovo romanzo di Joe R. Lansdale edito in Italia da Stile Libero Einaudi, entra con prepotenza nel cuore dei lettori e nella top 5 dei suoi romanzi stand alone più apprezzati, ovvero La Sottile Linea Scura, In Fondo alla Palude, Paradise Sky e La Foresta. Una storia di formazione che supera la definizione di genere e unisce gli elementi del romanzo gotico al noir. In realtà, credo che di pubblicazione in pubblicazione Lansdale abbia tracciato i confini di un suo genere unico, le note di una voce che racconta l’East Texas e la sua gente, gli usi, i costumi, le abitudini, il razzismo e le ingiustizie sociali.
“Papà inserì la prima e avanzò un po’, dando una leggera spinta all’acceleratore. Fui contento all’idea che finalmente ci muovessimo da lì. Voglio che tu sappia quanto ti voglio bene, disse. Prima che potessi rispondere «anche io ti voglio bene», diede una forte accelerata, la macchina scattò in avanti e il ponte tremò. Girò il volante a destra e la grossa Buick, con le sue cinque rate ancora da pagare, sfondò la ringhiera marcia e si fiondò nello spazio come un razzo.”
È il 1968 e Daniel ha solo quattordici anni quando suo padre tenta di ucciderlo, lanciandosi con l’auto nelle acque buie del Moon Lake. Un lago che sommerge la vecchia città di Long Lincoln dove l’uomo è nato e dove fa ritorno per suicidarsi e distruggere ciò che resta della sua famiglia in pezzi. Daniel sopravvivrà a questa esperienza traumatica e, a distanza di anni, diventato adulto, ritornerà sulle rive del Moon Lake per scoprire la verità su quella notte.
Parlare di Moon Lake è, in generale, l’occasione per scambiare quattro chiacchiere via chat con Lansdale che, nonostante sia un gigante della letteratura americana contemporanea, è soprattutto un maestro di umiltà e ama condividere la sua passione per la scrittura. Ogni volta che leggo un romanzo di Joe, ho la sensazione che le sue storie seguano un genere che appartenga solo a lui e che affondino le radici nella vita dei suoi personaggi, da qui la mia curiosità sul processo creativo. Gli ho chiesto, nello specifico, se pianifica i suoi plot, se ha un’idea precisa della storia che ha intenzione di raccontare. Lansdale afferma di amare la scrittura e di essere solo consapevole della storia nell’ambito delle atmosfere che essa intende riprodurre:
“I am only conscious of it in the sense that if I’m writing for a publication and they are crime, or horror, or whatever, I know that is a component, but sometimes I write well within the genre, and other times I go more astray. I love to write stories, and if a request inspires as story, all the better, but it must be something I want to write. Of course, some turn out better than others. I write a lot of stories and just stick them back, and in that case they are evenconsidered for a specific thing.”
La cosa che mi colpisce di Lansdale è la sua capacità di rapportarsi coi social media. I suoi post di Facebook raramente cadono nell’autoreferenzialità, ma sono piuttosto un momento di arricchimento per tutti gli appassionati di letteratura e gli altri autori che possono far tesoro dei suoi suggerimenti. Ovviamente, Lansdale dichiara di non amare i social, ma di usarli perché adora restare in contatto con i lettori. Al pari di scrittori meno noti, anche a lui tocca usare questi canali per promuovere il proprio lavoro e lo fa personalmente:
“I really don’t love social media, but I enjoy connecting with readers, and these days you have to act to promote your work more than in than earlier, as that side of the business is pretty much left up to you. But I do enjoy the interaction. Up to a point.”
Una volta, mentre assistevo alla presentazione di un suo romanzo, mi colpì una dichiarazione di Lansdale a proposito dei “club degli scrittori”, ovvero quella tendenza da parte di autori dello stesso genere di formare sodalizi, circuiti chiusi, in cui sviluppare amicizie e consolidare relazioni professionali. All’epoca non mi era sembrato molto favorevole a tale tipo di associazioni e mi erano piaciute le sue parole e il suo invito a scrivere senza inseguire le mode, senza cercare l’accettazione degli autori. Non potevo esimermi dal chiedergli di ritornare sull’argomento. La risposta al mio quesito è un invito che tutti gli autori emergenti dovrebbero memorizzare, annotare su un post-it da tenere sempre bene in vista, ovvero scrivere come se tutte le persone che conosci siano morte. Questo significa scrivere per se stessi senza preoccuparsi del pensiero degli altri, e una volta finito sperare che il tuo lavoro possa piacere alla gente.
“I have nothing against the clubs, and have been a member at times. I do think new writers finding their clan is a good thing, but I don’t care to spend my time having other people read my work to tell me what is right or wrong with it. I think clubs are okay to visit, but not to live in. My advice, write like everyone you know is dead. Meaning write for yourself without worry of what others think. Then when it’s done, you can hope others will like it.”
Quest’anno, a maggio, Joe R. Lansdale sarà ospite del Salone del Libro di Torino. Se avete intenzione di andare alla fiera, allora vi consiglio di fare un salto all’evento che lo vedrà come protagonista e ascoltarlo mentre si racconta e parla di libri. Sarà un’esperienza di cui non vi pentirete, come leggere i suoi romanzi.
Intervista a cura di Antonio Lanzetta per The BookAdvisor.
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